I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZO    STORICO
in tre parti

 

TERZA PARTE
(4)

Il breve tragitto in compagnia di Lidia era rimasto impresso nella mente di Curzio e cominciò a pensare al modo di rivederla, la cosa sarebbe stata facile se si fosse recato nel suo reparto, ma lui non voleva incontrarla mentre entrambi stavano lavorando, pensò bene allora di passare un po’ più spesso in biologia dove l’aveva vista la prima volta.

A Cate non passò inosservata la frequenza maggiore con cui egli passava a trovarla anche mentre intenta a manipolare le sue provette.

Sapeva benissimo che lui, non aveva motivi professionali per spingersi fino a biologia mentre Lidia lo doveva fare spesso per ritirare le cartelle dei “suoi” prematuri, sottoposti a ricerche genetiche, arrivò a questa conclusione vedendo la gioia di suo fratello quando un giorno l’incontrò… per caso.

Il turbamento di Lidia fece il resto e lei comprese che fra i due c’era della simpatia e, cosa più bella non avrebbe potuta accadere perché, conoscendone i caratteri, li vedeva benissimo insieme. Ne era gongolante anche perché suo fratello era giunto all’età giusta per formarsi una famiglia e la sua amica Lidia sarebbe stata proprio "La ragazza giusta" che andava dicendo alla mamma.

Presto infatti si parlò di nozze in casa loro trovando tutti consenzienti nei riguardi della scelta, l’unico neo venne però dalla proposta dei fidanzati di legarsi col solo rito civile per abbreviare i tempi e ridurre le spese.

Ai quattro genitori non stava troppo bene il matrimonio lampo, visto che non vi erano…urgenze, ma i fidanzati furono irremovibili, a loro non importava la cerimonia importante con tanto spreco di denaro, desideravano un rito semplice con tanti amici attorno. I loro motivi erano validissimi: non volevano che le loro famiglie s’indebitassero per loro e se aspettavano che i loro risparmi aumentassero, troppo avrebbe dovuto trascorrere nell’attesa, preferirono utilizzare il loro …liquido per comperare una utilitaria di seconda mano, così avrebbero fatto un viaggio favoloso.

Bice, che per suo figlio professore, aveva sognato una cerimonia fastosa con tanti invitati dovette capitolare e accettare la rapida convalida fatta dal Sindaco in Campidoglio.

Rimase stupefatta nel constatare il gran numero di sposi che si susseguirono sulla piazza capitolina. All’esiguo corteo iniziale, si aggiunsero, all’insaputa di tutti, una sfilza di utilitarie e moto rigurgitanti di colleghi ospedalieri sia medici che infermieri, tutti allegri e schiamazzanti che al rinfresco brindarono bene auguranti per la coppia bella e giovane amata da tutti.
L’ infelice conclusione del matrimonio di sua figlia e la tragica fine del nipote, aveva riempito l’animo del signor René di dolore, amarezza e rabbia ed era furioso con se stesso per essersi lasciato influenzare dalla parvenza di bravura del corteggiatore di Paulette.
Avrebbe dovuto informarsi più a fondo su quel giovanotto e che la sua prosopopea era soltanto una misera maschera per nascondere la sua incapacità totale di assicurare il benessere ad una famiglia. Si era lasciato convincere dalla garanzia amichevole di Serge e Nicole, persone rispettabilissime che però avevano dato credito alle costanti bugie di Bruno.

Non ci sarebbe stato un capro espiatorio, perché di fronte al fatto compiuto senza forzature l’unica soluzione era stata quella di vedere felice la sua adorata figlia.

I modi suadenti di lui l’avevano conquistata all’istante, prima ancora di venirle presentata e lui aveva giuocato con questo amore di fanciulla.

Se è difficile indovinare le mistificazioni e i reconditi pensieri fra persone che parlano lo stesso idioma, figurarsi come è complicato afferrare le false inflessioni e farsi una esatta immagine di chi si esprime più a gesti che a parole!!!

Larghi sorrisi, e gesti enfatici, conditi da monosillabi indecifrabili, come entrare così nell’intimo dei cuori? In aggiunta come avrebbe potuto indovinare, il pacifico, signore francese che la caratteristica dei Sarducci era proprio quella d’irretire le fanciulle brave e buone, mistificando le loro vere intenzioni fino al raggiungimento delle nozze poi…come erano veramente lo avrebbero scoperto le loro mogli, soltanto troppo tardi.

Il suocero non perdonava a quello straniero di avere stroncato oltre la vita anche la carriera di sua figlia per la quale aveva accarezzato sogni artistici e familiari di ben altra levatura. E il suo comportamento come padre? Era stato esecrabile, continuando ad esserlo anche dopo la separazione, visto che il povero Charles l’aveva accusato anche dopo la morte e per i minori, rimasti con la madre, mai un pensiero.

Indegna persona, in tutti i sensi!
Il risentimento del vecchio non trovava sfogo e l’unica sua soddisfazione era quella di poter garantire loro l’avvenire e sua figlia avrebbe fatto una buona cosa se fosse ritornata a Parigi… qualcosa avrebbe potuto ricominciare.

L’incapace coniuge, che solo dal gioco e da altre losche attività, ricavava il suo magro reddito, non era stato capace di assicurare alla famiglia la sicurezza economica, che lui padre, padre anziano, si sentiva ancora di garantire fino alla morte.

Se solo avesse saputo prima che razza d’uomo era !!!!1

Convinto sempre più che, quale cacciatore di dote, aveva agito fin dall’inizio in mala fede e giocando d’astuzia, carpendo la fiducia di tutti e più ancora di un cuore giovane e innamorato che non aveva saputo resistergli, non sapendo di fare il suo giuoco per ottenere più facilmente la sua mano, con un pargolo in arrivo.

L’ex suocero si rammaricava che la legge vigente, non svincolasse la donna separata che continuava a soffrire, incastrata dagli stessi doveri verso i figli e verso la società.

Da quando Corinne era con lui aveva fatto come un tuffo nel passato, quando la vedeva dipingere nella stanza che era stata di sua madre voleva illudersi che quegli anni non fossero trascorsi ed era come se la sua figliola non fosse mai andata via.

Per la nipote sarebbe stato più vigile c’era da giurarlo, altroché fidarsi a prima vista, chi si fosse avvicinato avrebbe dovuto passare sotto il suo vaglio, per prima cosa doveva essere buono di animo ed educato. Intanto era felice di essere utile alla sua cara nipote che col suo arrivo aveva ridonata gaiezza alla sua triste maison che nella sua vastità avrebbe potuto ospitare anche Paulette e Corrado se solo avessero accettato il suo invito. La sua esistenza non era ancora al limite…almeno lo sperava e l’avrebbe spesa volentieri per fargli dimenticare le numerose tristezze del passato.

La quarta generazione, anche se non in linea maschile, si era annunziata con la nascita di Dianora figlia degli ultima coppia di sposi.

Nonna Bice da quando c’era la bella frugolina, non stava più tanto tempo in cucina così nonno Enrico non rischiava di ingrossare la sua incipiente pancetta, ma che sarebbe rimasto pure digiuno per starsene a rimirare la sua prima nipote.

I due coniugi, felici e realizzati, nell’ambito della loro famiglia avevano un solo rammarico, quello che Curzio avesse l’abitazione piuttosto lontana dalla loro, ma in prossimità dell’ospedale in cui prestava servizio.

Lidia dacché era diventata madre si era licenziata dal lavoro per accudire a tempo pieno sua figlia e questa sua decisione era stata approvata anche dalla suocera perché dava più tranquillità a tutti sapere che Dianora sarebbe cresciuta sotto una puericultrice esperta quale era la sua mamma.

Bice l’aveva subito amata questa ragazza perché aveva intravisto in lei molta saggezza pur essendo molto giovane, ella aveva le idee molto chiare e sapeva decidere ogni cosa con accortezza, ne aveva avuta conferma anche dall’aver programmato, d’accordo col marito, la sua vita di moglie e di madre.

Tutte le unioni dovrebbero essere pianificate e serene come la loro !

S’impensieriva, la sensibile donna, soltanto pensando a Caterina e la compativa un poco perché trascorreva tutte quelle ore al chiuso del Laboratorio chimico, senza annotare il tempo che scoloriva la sua giovinezza, così presa dalla ricerca.

Come madre, ella sentiva ogni tanto, il dovere di farle presente che doveva pure svagarsi, la ragazza le rispondeva sempre con una schietta risata e con le sue consuete argomentazioni: “ Lo sai bene mamma che il mio lavoro è anche divertimento per me, giacché ogni ricerca è come un rebus ed ho sempre la curiosità di vederne il risultato, e per quello che tu hai in mente… bè… sarà il destino a decidere!”

Sua madre, era però dell’idea che il destino andrebbe anche un pochino aiutato!

Malgrado qualche esperienza contraria, per tutte le madri, giunge il momento in cui vedono necessaria la prospettiva del matrimonio, specialmente per le femmine, senza minimamente prevedere che potrebbe anche essere controproducente idealizzare quello sconosciuto "principe azzurro" che poi non si rivelerà tale.

Caterina era soddisfatta del suo lavoro perché, per l’alta considerazione in cui era tenuta, era quella alla quale venivano affidati compiti di alta responsabilità.

Recentemente era stata richiesta la sua collaborazione per una sperimentazione che esulava da quelle propriamente genetiche sul DNA; si trattava di tenere sotto controllo la coltura di un nuovo tipo di virus, responsabile di trasmettere l’epatite attraverso le trasfusioni di sangue.

La Direzione sanitaria l’aveva scelta ritenendola la più perspicace e paziente ricercatrice di tutta l’èquipe ed anche perché c’era l’ urgenza di confrontare i risultati ottenuti in un prossimo Congresso internazionale.

Questo naturalmente avrebbe comportato un ulteriore dilatazione dei suoi turni giornalieri che per lei, essendo nubile, avrebbe comportato minore sacrificio.

Logico che la sua disponibilità venisse apprezzata dalle colleghe con famiglia ed anche per questo la dottoressa Cate era benvoluta da tutti.

Da qualche tempo, anche per accontentare sua madre, si era iscritta in un circolo sportivo per fare un po’ di movimento, riprendendo il tennis che aveva esercitato da giovanissima con suo fratello, non che fosse molto brava, ma sarebbe servito per scioglierle le membra.

Mentre eseguiva lanci e rilanci di palla, si accorse di essere tenuta sotto osservazione da un giovane insegnante della palestra addetto alle squadre dei bambini, la biologa se ne sentiva talmente infastidita da commettere sbagli su sbagli.

Sapeva che il giovanotto si chiamava Stelvio, perché il suo nome ricorreva su tutte le bocche delle giovanissime frequentatrici di quel luogo che se lo mangiavano con gli occhi. Alto e prestante Stelvio, era il vero esemplare del tennista ed aveva al suo attivo anche qualche valida affermazione regionale, intanto, in previsione di maggiori allori, si guadagnava da vivere facendo l’istruttore dei giovanissimi in quella palestra molto frequentata. Per Caterina, trascorrere quelle due ore a giorni alterni, diventava un superlavoro invece che un relax e, per giusta regola, sarebbe stato meglio dedicare quel tempo al sonno giacché la sua professione necessitava di mente lucida e di riflessi pronti, come nelle gare di tennis appunto.

Persuasa di non essere molto esperta nel giuoco, si seccava di quello sguardo che non la lasciava mai, mettendola in imbarazzo e la critica silenziosa di quell’osservatore non le era affatto gradita… se fosse stata meno timida glielo avrebbe detto francamente. Cercò di evitarlo il più possibile, ma una sera se lo trovò all’uscita del suo ospedale che le sbarrava il passo.

Alzò il capo sbalordita e si vide dinanzi un bellissimo sorriso, lui sveltamente le chiese scusa, seguitando a parlare senza ulteriori preamboli: "Dottoressa, l’unico modo di parlarle era questo poiché in palestra, non me ne ha offerto mai la possibilità ed io invece è da tanto che la guardo …".

Per darsi un contegno Cate, approfittò della sua pausa:"Si, me ne sono accorto e chissà le critiche che ha fatto sul mio stile, ma io non sono una professionista e frequento la palestra solo per sgranchirmi le gambe".

Toccò a lui sentirsi imbarazzato, ma la sua magnifica chiostra di denti tornò alla ribalta, mentre ribatteva: "Mi dispiace veramente che lei abbia frainteso il mio sguardo perché io sono interessato alla sua persona e non al suo modo di giocare, mi creda" nel frattempo le si mise al fianco, proseguendo: "Mi permetta di accompagnarla così le spiego!”

Sbalordita, per la sua disinvoltura e per le parole enfatiche che le stava rivolgendo, la dottoressa annuì con il capo involontariamente mentre lui prese a parlare confidenzialmente come fossero amici da tempo.

Disse di essere di origine pugliese e di essere da moltissimi anni a Roma proprio per continuare le gare di tennis ad un certo livello che gli stavano già dando grosse soddisfazioni.

Intanto giungeva il mezzo pubblico che Cate attendeva e lei fece per salutarlo, ma lui più svelto vi salì sopra contemporaneamente, continuando a raccontare di sé.

La sua alta statura, che emergeva sugli altri passeggeri e il gesto premuroso col quale lui le indicò l’unico posto libero, fece voltare tutte le teste femminili presenti e, seppure imbarazzata, la biologa, si sentì molto lusingata e quasi privilegiata; mai avrebbe pensato di trovarsi in una simile situazione. 

Rimasero in silenzio, fino a destinazione, durante il quale, ella si finse interessata a guardare fuori del finestrino, ignorando l’alta figura che le stava a lato, intanto congetturava come mai, con tante presenze femminili nella palestra, più appetibili e sicuramente più disponibili, egli avesse appuntato la sua attenzione sulla sua persona.

Nel breve tratto di strada a piedi fino al portone di casa lei glielo chiese apertamente.

Alla sua chiara domanda, il bel giovane in tenuta sportiva chiara, non si scompose affatto e fu prontissimo a dissipare quelle perplessità, spiegandole che era stata appunto la sua riservatezza, unita alla distinzione e grazia ad averlo colpito perché la trovava diversa e migliore da ogni altra.

E calcò su quelle parole che ogni ragazza sogna di sentirsi dire: “Sono sicuro di avere trovato la donna che risponde agli ideali di un uomo ed ha tutti i requisiti per un rapporto serio e durevole”.

Parole ineccepibili, serie e per nulla offensive alle quali se non si poteva rispondere immediatamente, ma sulle quali si poteva riflettere.

Del resto Cate non era abituata a flirt e a vacui corteggiamenti, la sua frequentazione di uomini si era limitato alla cameratesca amicizia fra colleghi studenti o professionisti, senza influssi di altra natura e quindi una dichiarazione così precisa non l’aveva mai ricevuta, per questo ne rimase assai colpita.

Alla richiesta di un nuovo incontro rispose evasivamente, tanto si sarebbero visti in Palestra, nel frattempo ci avrebbe pensato.

Non lo aveva mai saputo, ma aveva sempre messo soggezione ai maschi che le erano passati accanto che nessuno si era azzardato a farle la corte.

La sua inesperienza, la rese perciò facile preda, di un sentimento nuovo e sconosciuto che uno sguardo intenso le fece sentire e ne fu accalappiata.

Si videro altre due volte ancora al circolo sportivo, salutandosi appena, ma lui continuò a circuirla con quello sguardo conquistatore di cui era cosciente ma che metteva a disagio la ragazza, impedendole di espletare le partite di tennis e per questo Cate prese la decisione di non andarvi più.

Come nulla fosse, egli passò indifferentemente per la sua strada, quando sapeva d’incontrarla, salutandola brevemente, tenendo accesa quella fiaccola alla quale, lui sapeva, si sarebbe cotta a fuoco lento e, per fomentare la sua gelosia, fu a lungo assente ingiustificato per ricomparire all’improvviso

L’incerta e impegnatissima dottoressa, invece di riposare tranquilla, cominciò ad avere sogni agitati che la spinsero a ritornare in palestra.

Stelvio aveva vinto !
Rifare meticolosamente le tappe verso la conquista del Cosmo, è impresa lunga e difficoltosa perché si dovrebbe incominciare dai primi dati osservati da Talete, Anassimene, Anassimandro poiché, ciascuno a suo modo, combinando e scombinando elementi, vide in modo filosofico la soluzione dei vari fenomeni naturali.

Eppure, proprio su queste questioni, da parecchi anni congetturavano i giovani cugini Sarducci, appassionati di onde radio e problemi spaziali.

Cesare e Corrado, veri figli dell’era aereo dinamica erano stati affascinati dalla conquista della luna, seguendone il lungo “No stop” televisivo, districandosi assai bene con i dati tecnici forniti in diretta perché, appassionati di fantascienza, avevano collezionato ogni cosa riguardante tale argomento, formandone un originale prontuario. Consci che ricerche e spedizioni spaziali, non avessero nulla di misterioso, si auguravano di potere anch’essi parteciparvi in qualche modo.

Dissentivano da quelli che le consideravano una profanazione del cielo ed erano più propensi a credere che ci fossero altri mondi abitati.

Fantasie di ragazzi, forse…ma non tanto visto che tutti i Paesi più progrediti continuano a spendere miliardi nel settore della ricerca spaziale e nell’allestimento di viaggi e stazione orbitali. Avendo divorato i libri di Giulio Verne e di altri fantasiosi scrittori e con molto anticipo i disegni circostanziati del grande Leonardo da Vinci, avevano poi constatato che molte di quelle anticipazioni erano state realizzate, nulla vietava di credere che tutto era possibile.

I sogni arditi di tante giovani menti, sono entusiasmi veri e sinceri che non partono dai presupposti di tanti adulti che vedrebbero sbocchi extraterrestri per scopi commerciali o, semplicemente per fuggire l’aria malsana della terra ormai troppo inquinata.

I due ragazzi possedevano volontà e senso di sacrificio e col loro limpido sguardo denotavano la sincerità e l’onestà dei sentimenti coi quali si stavano preparando al domani; Corrado, era anche appassionato di ogni genere musicale e mentre studiava, aveva sempre la sua radiolina, che in sordina, gli teneva compagnia perché – diceva- che lo aiutava a concentrarsi.

Cesare invece alternava i suoi studi di alta ingegneria e meticolosi calcoli, con le letture dei grandi Poeti che le donavano parentesi di dolcezze sublimi che libravano la sua anima ancora più in alto degli spazi che bramava scoprire.

Erano entrambi due giovanetti in gamba i nuovi Sarducci, frutto della selezione di generazioni passate che ne avevano smussate le asperità.
Paulette non aveva accettata l’offerta paterna di trasferirsi definitivamente in Francia, vi andava spesso però perché Nicole si stava specializzando nello studio delle lingue presso una Facoltà parigina ed era, talvolta, chiamata come interprete presso le varie Ambasciate.

Nella casa di Roma, si respirava finalmente un’aria pacifica anche se il ricordo di Charles, la povera madre l’aveva fisso nel cuore, doveva però pensare al figlio minore per il quale non dovevano sussistere tristezze affinché, almeno lui potesse essere sereno. Corrado, fortunatamente, aveva il carattere gioviale del nonno francese e amava il mondo e tutta la gente in genere e avrebbe voluto realizzarsi in qualcosa di sociale.

La francese, si faceva ancora colpa di non aver saputo sconfiggere i conflitti esistenziali del figlio più grande, ma in quegli anni di tormento, troppe angosce l’attanagliavano morali e finanziarie; con l’aiuto di sua cognata Bertilla si era convinta che il gesto irreparabile di Charles non era dovuto alla separazione dei genitori, ma dalla caduta del mito paterno, che sarebbe avvenuto ugualmente, anche se i suoi non si fossero divisi. Corrado era di un’altra pasta, allegro e dinamico e, fra antenne, batterie e onde sonore, “giocava" nel laboratorio del piano terra ad "inventare" apparecchi elettrici e a ripararne altri, come vero lavoro.

La dolce abitudine di essere attesa, a fine lavoro, per essere accompagnata sotto casa, dava una piacevole sensazione alla biologa che si era finalmente fidanzata col suo paziente corteggiatore e per amore di lui era diventata anche più elegante.

Persino, la sbrigativa coda di capelli, che più volte la madre le aveva consigliato di tagliare, negli ultimi tempi, era stata sostituita da un’acconciatura fresca e sbarazzina che l’aveva ringiovanita. 

Era stata disposta a compatire le pecche che il suo accompagnatore mostrava di avere perché coi suoi drammatici racconti le aveva spiegato i motivi per cui era stato obbligato a troncare gli studi, a lasciare la sua terra e a vivere poveramente da immigrato fino a che, da raccatta palle nei campi di tennis, era diventato istruttore e, partecipando ogni tanto a qualche torneo regionale, si stava facendo onore.

Diceva pure che aveva dei progetti commerciali imbastiti con persone influenti che gli avrebbero permesso dei grossi guadagni. Naturalmente tutte le sue chiacchiere riempivano le loro brevi camminate e solo al momento del commiato, un rapido bacetto, accontentava la paziente fidanzata che continuava per ore a pensarlo con tenerezza, credendolo un po’ sprovveduto, ma sincero.

Che importanza potevano avere i suoi errori di linguaggio, ancora intercalato dal suo dialetto…Non sarebbe stato umano accanirsi contro un ragazzo poco istruito, mostrandogli quei difetti…Non era sua la colpa di essere nato povero!

Le sarebbe stata accanto a sostenere i suoi progetti e lo avrebbe fatto migliorare, insegnandole quello che non aveva avuto modo di apprendere ancora.

Coi tanti corsi serali, in una città come Roma, sarebbe stato facile anche fargli prendere un diploma.

A Cate era sufficiente sapere che l’aveva scelta perché l’amava ed anche lei, ormai, non poteva più stare una sera senza vederlo, magari per quel poco che si poteva.

Terminate che furono le relazioni sulle reazioni dell’antigene U che l’avevano obbligata a turni supplementari, la dottoressa presentò il fidanzato ai genitori.

Per la prestanza fisica e per il sorriso smagliante, Stelvio fece loro una ottima impressione e, ascoltando i suoi progetti che descrisse con la consueta enfasi, citando nomi di personaggi noti, che, effettivamente, alla fidanzata risultava frequentassero la palestra. Come fare a confutare le sue parole?

Con le loro modeste origini, anche i genitori della ragazza, furono portati a compatirlo, fiduciosi che l’amore verso la loro figlia fosse la cosa più importante e, su questo il discorso del tennista si era soffermato a lungo, chiarendo che solo perché aveva conosciuta Cate, si era deciso a coniugarsi, anche se non aveva ancora le possibilità economiche che avrebbe voluto offrirle e che fra breve ci sarebbero state,

Se avesse atteso la maturazione dei suoi affari, correva il pericolo di non trovarla più libera e, questo, lo avrebbe rimpianto per tutta la vita.

Da quella sera, la biologa cominciò a sentire le spine dell’amore, giacché divenne gelosa perché lui divenne meno assiduo, con il pretesto delle riunioni di affari e con le sue assenze dalla città per qualche torneo a cui partecipava.

Quest’ultima cosa era vera e lo testimoniavano le foto sui giornali sportivi, ove veniva ritratto attorniato da nugoli di ragazze, anche se non erano gare ad alto livello, ma solo esibizioni dilettantistiche.

Saperlo in giro, sempre con tante donne intorno, mentre lei stava chiusa in laboratorio, la faceva star male e il malumore represso per giorni, la faceva esplodere nel momento che lo rivedeva.

Stelvio, incurante di tali reazioni, sembrava lo facesse apposta per farla stare in ansia perché aveva capito che con la sua strategia il cuore della fidanzata si sarebbe infiammato sempre di più. Difatti la ragazza, pur nella sua gelosia, cercava di essere comprensiva con quel ragazzo che non aveva mai avuto nulla, se approfittava dei suoi momenti di popolarità, accettando inviti a serate, non era neppure da biasimare.

A lungo andare quelle vittorie non la rallegravano troppo perché per lei non restavano che rare e fugaci visite che si prolungavano un po’ se c’era da gustare una cena preparata da mamma Bice.

Questo andazzo fece decidere Cate a sollecitare il loro sposalizio e, naturalmente, Stelvio, sarebbe stato d’accordo, ma sul momento non aveva la disponibilità economica per l’acquisto di un appartamento, avendo investito tutto il suo avere nel "famoso" affare. Le sue argomentazioni, chiarirono che di nozze non si poteva ancora parlare.
Il boom dell’edilizia dilagò in breve tempo e Roma, dilatandosi a vista d’occhio, rese difficoltoso il viverci perché i nuovi quartieri situati troppo lontani dal centro, divennero agglomerati suburbani che per riflesso crearono un caos, in crescendo, nella circolazione stradale e le paralisi nel traffico urbano e periferico divennero continue.
Lo stress divenne quotidiano per tutti i cittadini e gli incidenti furono all’ordine del giorno a causa dell’ampliamento del numero della popolazione con gli innumerevoli nuclei familiari che s’inserirono nella Capitale, nella maggior parte provenienti dal meridione.

Fu necessaria una vera riforma topografica e cominciarono a scarseggiare gli alloggi che, specialmente i nuovi venuti, risentirono sulla propria pelle perché dovettero adattarsi in squallide catapecchie, tirate su alla meglio e che male li riparava dal freddo e dalle intemperie.

Lo sbaglio che compiono molti è quello di partire alla ventura, fidandosi delle dicerie

dei male informati che asseriscono sia facile inserirsi in modi di vivere diversi da quelli delle terre avite.

Nelle bidonville, raso terra, si ritrova gente delusa, partita piena di speranza e fiducia che avrebbe voglia di fare lavori decorosi, più difficili da trovare per loro che non sono in possesso di documento di residenza, dando luogo a un circolo vizioso senza soluzione e che reca altri problemi ad ogni componente di quelle famiglie: niente casa, niente lavoro, niente scuole e… niente vita.

Il costo degli appartamenti raggiunse cifre sbalorditive e gli affitti salirono vertiginosamente sia nei vecchi palazzi che nei grattacieli che costrinse le nuove coppie a ripristinare l’antica formula dell’adattarsi a vivere coi genitori, sia pure momentaneamente.

Spesso però la convivenza non risultava facile perché i contrasti fra i due menage creava grossi contrasti, incomprensioni e discordie che riuscivano persino a disgregare le unioni che altrettanto rapidamente come si erano formate si scioglievano perché alla base ogni convivenza ci dovrebbe essere stima e rispetto reciproco e moltissima comprensione perché a nessuno è permesso di schiacciare l’altrui personalità.

Il clima di libertà individuale si diffuse rapidamente col desiderio di soddisfare ogni egoistica esigenza, i valori più saldi furono sommersi e le casalinghe mirarono ad occupazioni fuori casa, che una volta raggiunte le rese nervose, frenetiche e ancora più insoddisfatte.

 

 

 


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