Roma - Rioni - Ponti  

Monti I - Trevi II - Colonna III - Campo Marzio IV - Ponte V - Parione VI - Regola VII - Sant'Eustachio VIII - Pigna IX -
Campitelli X   S.Angelo XI  -  Ripa XIITrastevere XIII  -  Borgo XIV - Esquilino XV - Ludovisi XVI - Sallustiano XVII -
Castro Pretorio XVIII - Celio XIX - Testaccio XX - San Saba XXI - Prati XXII

PONTI
 

mappa

 

RIONI DEL CENTRO STORICO
quarta parte

 

 

CASTRO PRETORIO  XIII

 Il Rione fu decretato dal Comune nel 1871 con un Progetto affidato alla Società del Credito Immobiliare che trasformò i Castra Praetoria  cioè le caserme dei pretoriani della guardia  imperiale in abitazioni civili; sparirono costruzioni e vigne dell’antico Castrum attraversato dalla via Castrica di cui si vedono ancora i ruderi.
Nella suddivisione augustea era inclusa nella VI regione ed era rappresentata dalla Caserma più antica e importante, costruita nel 23 d.C. per volontà di Tiberio con l‘intento di riunire i suoi pretoriani che fin’allora erano dispersi in vari quartieri non avendo una sede specifica.
La caserma non ebbe soltanto una vocazione militare e, oltre l’organizzazione di  imprese belliche, vi si allestivano anche regolari spettacoli gladiatorii nonché assemblee politiche ; da ricordare l’episodio in cui vi fu messa all’asta la carica imperiale fra Sulpiciano genero di Pertinace e Didio Giuliano che decretò la vittoria di quest’ultimo.
La Caserma, ripristinata dopo il 1970, e da pochi anni ridotta, lasciando la maggior parte dello spazio alla Biblioteca Nazionale fin dall’inizio si è andata modificando secondo gli avvenimenti contingenti.
Nel medioevo, il taglio degli acquedotti  da parte degli invasori gotici, costrinse gli abitanti ad abbandonare la zona e sparuti gruppi  rimasero attorno alle chiese di S. Maria Maggiore e SS.Pudenziana e Prassede e cominciarono a fiorire le costruzioni di ricche ville ; nel seicento, dai Gesuiti  reduci dalle Missioni asiatiche che vi s’insediarono, scaturì il nome Macao  conferito tanto al Castro che alla zona  militare.
Nel 1921 il vastissimo territorio fu assestato in quattro Rioni : Monti, Esquilino, Celio e Castro Pretorio e, a quest’ultimo, sarebbe stato più consono attribuire a simbolo le Terme Diocleziane che ne caratterizzano buona parte degli oltre cento ettari.
Difatti il mastodontico complesso troneggia ancora maestoso a ricordare quanto fossero tenuti in considerazione i locali delle Terme dagli antichi romani che non erano soltanto luoghi di bagni, ma veri e propri luoghi di relax fisico e psichico dotati com’erano di viali alberati, sculture, palestre e biblioteche.
Il Trepidarium  delle Terme di Diocleziano fu trasformato da Michelangelo Buonarroti  nella fastosa chiesa di Santa Maria degli Angeli con grande maestria perché seppe adattare le possenti strutture monumentali  romaniche al culto più contenuto del cattolicesimo armonizzando passato e presente.
Nel 1870 a piazza dell’Esedra, oggi Della Repubblica, Pio IX inaugurò la  Fontana/Mostra della nuova acqua Pia che da lui aveva preso il nome e dopo quindici anni di alterne vicende si pensò di sostituirla con una più moderna affidandone il progetto allo scultore palermitano Mario Rutelli. Ne sorsero aspre critiche  perché La Fontana della Naiadi  scandalizzò non poco l’opinione pubblica per la nudità delle statue femminili distese in posa languida attorno al virile dio marino che stringeva un delfino.
Il 5 aprile 1911, cessata la diatriba, durata oltre dieci anni, la fontana venne liberata dal recinto e resa visibile e nella sua Guida  di Roma Guido Acciaresi la descrisse così:” Mostra dell’Acqua Pia antica Marcia, con sculture in bronzo, parte sconciamente veriste e parte enigmatiche”. 
Altre discussioni, ci sono sempre state fin dalla prima costruzione e, continuate, nei successivi  rifacimenti, della Stazione ferroviaria Termini che occupa un grande spazio di piazza Dei Cinquecento, così chiamata per ricordare i Caduti di Dogali , che, più esattamente, furono 548.
Per costruire la Stazione vi furono  grandi espropri e lo sbancamento del Monte di Giustizia  che era un’altura amena formatasi nel corso dei secoli con l’ammasso di detriti che vi si erano scaricati mentre si costruivano le Terme, ma che era stato abbellito da un muro di sostegno decorato, alberi ad alto fusto e una scalinata sulla cui sommità si ergeva una grande statua della dea Roma e una grande fontana , la stessa che adesso orna la base del Gianicolo.
Si racconta della predilezione che Sisto V avesse per questo luogo da dove si dominava tutta la città e dov e era solito trascorrere molte ore in meditazione e all’uopo vi era un sedile marmoreo a lui dedicato.
Accanto alla Stazione vi sono ancora i resti della Porta Viminale  così detta perché prossima ad un bosco di vimini dov’era consacrata un’ara dedicata al dio Giove Vimino.
Nel corso dei lavori venne in luce una strada romana che collegava Viminale e Quirinale e, un cippo nei pressi attestava che quello era stato il territorio degli Horti Lolliani della Gens Lollia che furono al centro di oscure lotte di potere al tempo di Agrippina che esiliò la rivale Lollia e ne usurpò la proprietà.
Non è solo la stazione Termini ad accogliere i viaggiatori in arrivo a Roma , ma adesso vi è anche l’Air Terminal  situato in via Giolitti ex via Principessa Margherita. 
Nello slargo della via Viminale sorse il  teatro  Costanzi  poi Teatro Reale e infine Teatro dell’Opera  e fu l’albergatore Domenico Costanzi che ebbe la geniale intuizione di costruirlo proprio in questo punto della città.
Fu inaugurato il 27 novembre 1880 con l’opera Semiramide alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita; alla fine dello spettacolo, per dimostrare la sua soddisfazione, sua Maestà nominò il Costanzi Cavaliere della Corona d’Italia. 
Quasi addossata alle Terme vi è la Società Mutuo Soccorso dei Garibaldini che non ha più ragion d’essere in quanto tale se non come ricordo dell’impresa dei  Mille come attesta una lapide ivi affissa nel 1929 dai repubblicani  dedicata al patriota Guglielmo Oberdan;  poco discosto vi è il Museo delle Cere.
Il Grand Hotel disegnato dall’architetto romano  Arturo Podesti e organizzato dal mago europeo degli alberghi  dell’epoca Cesare Ritz donò al Rione un ambiente ricco e raffinato con una cucina francese diversa da quella romana, adottata fino ad allora,  che attirava il bel mondo e i turisti in cerca di novità e di ambienti costosi.
Il costo giornaliero di tre milioni e mezzo di quel tempo, quasi uguale alla cifra stanziata per la campagna di Etiopia e sempre aggiornata non ha impedito all’Albergo di fare sempre il pieno di clienti illustri  dal tempo della  Belle Epoque  ad oggi.
Per contrasto vi era anche una presenza massiccia di religiosi che alloggiavano nei vari monasteri e pure  Don Bosco dimorò dagli anni 1881 al 1884 nel complesso Salesiano del Sacro Cuore. 
Ogni strada ed ogni palazzo di questo Rione ha una storia da raccontare e al presente , vede anche un afflusso di emigranti asiatici che l’hanno scelta per viverci e per istaurarvi commerci redditizi, probabilmente proprio per la presenza della Stazione.
La delimitazione di Castro Pretorio s’interseca con quella dell’Esquilino e alcuni percorsi si dividono fra i due rioni : Porta Pia, via XX Settembre, via delle Quattro Fontane, via Agostino Depretis, via Urbana, piazza e via dell’Esquilino, via Gioberti, viale Giovanni Giolitti, piazza dei Cinquecento, via Marsala, via di Porta San Lorenzo, viale Pretoriano, viale Castro Pretorio, via del Policlinico.

SANTA PUDENZIANA

E SANTA PRASSEDE

 

L'antica chiesa che sta sulla via Urbana

diede ospitalità a gente cristiana

quann’era l’abitazizone de  Pudente

ospitò Pietro in modo assai decente.

 

Fu trasformata poi in casa termale

indove l'iggiène  sconfiggeva er male

e doppo un par de secoli d'allora

diventò 'chiesa pé pregacce 'gni ora.

 

Fu dedicata a du' sorelle sante

Pudenziana e Prassede che ar presente

stanno effiggiate proprio sull' avello

dipinte a medajoni co' l'agnello.

 

Li fedeli l'ammireno beati

assieme a li mosaichi preggiati

che fanno vede er Redentore in trono

cor libbro der destino aperto in mano

 

e l'Apostoli co' loro sguardo strano

guardeno quelle Sante

che j'offreno er Corano.

 

 

 

 

 

TESTACCIO XX

Il Rione  ha origini piuttosto recenti perché risalgono al 9 dicembre 1921 e comprende la zona che si estende  fra il Ponte Sublicio con l’antico Emporio e le mura Aureliane che circondano l’Aventino e la via Marmorata che arriva alla Piramide  Cestia e alla Porta San Paolo costeggiando il Cimitero Evangelico.
Ma tutto questo territorio ha una storia antica che risale al II secolo  a.C. allorché  i Censori Lucio Emilio Lepido  e Lucio Emilio Paolo  scelsero questi prati adibiti a pascolo, per costruirvi la zona portuale , ritenendo insufficiente il Foro Boario ad accogliere l’incremento economico di Roma in espansione.

Fu quindi costruito l’Emporio  sul Tevere con una banchina pavimentata lunga 500 metri dove le merci in arrivo per via fluviale venivano scaricate, smistate e conservate.
Le grandi  anfore di coccio  ( testae )alte circa 75 cm  e, nella parte panciuta circa 55 cm venivano usate per il trasporto delle derrate che giungevano per via fluviale e venivano scaricate sulla banchina dell’ Emporio.
Una volta svuotate dei contenuti  venivano eliminate giacché era più economico che nettarle per il riutilizzo  e proprio il  montarozzo  di queste testae, sempre più alto, ha formato il Monte dei cocci poi chiamato Testaccio.
Alto circa 49 metri nel pianoro superiore e, circa 45 in quello inferiore,  con un perimetro irregolare che va da circa 250 metri  per i lati est e ovest e 180 metri  per quello a nord,  più che Monte può definirsi collina con una superficie complessiva di 22000 mq e  molte sono le vicende legate a questa altura  che nella seconda guerra mondiale ebbe anche la funzione di Stazione Contraerea.
Durante il pontificato di Alessandro IV ( 1254- 1261 ) divenne il traguardo dei  ( Ludi Testaciae ) ove confluivano le fantasmagoriche e ricche processioni delle Confraternite dei Rioni costituite dagli Artigiani, ognuna coi propri stendardi che mostravano gli atleti e giocolieri addestrati con mesi di prove.
Sotto Papa Paolo il Barbo (1464-1471 ) vi si disputava il  Mons de Palio che terminava con una corsa sfrenata di carrozze addobbate che precipitavano  con una ecatombe di cavalli e persone.
Nel 500 a Testaccio si tenevano i Giochi di Agone nella ultima domenica di Carnevale e i partecipanti  venivano scelti fra i giovani più prestanti , uno per rione e le spese dei Giochi erano sostenute obbligatoriamente dalla università degli Ebrei. 
Il venerdì avanti la festa,venivano fatti sfilare per le strade di Roma tredici tori ornati fra le corna con corone  variopinte di fiori, fiocchi e nastri, accompagnati da inservienti con lunghi bastoni con infissi dei ganci , messi appositamente  affinché, lungo il passaggio, la gente vi appendesse doni mangerecci da offrire al vincitore.
Il giorno seguente i tori guarniti e le offerte venivano esposti in Piazza Navona.
La domenica, infine, la campana di Campidoglio (Patarina) coi suoi rintocchi riuniva Senatori e Cittadini influenti che in abiti di gala e al suono delle trombe  preceduti dal Gonfalone su di un cavallo bianco, raggiungevano in corteo il Monte Testaccio ove, nel prato antistante,  era già allestito l’Albero della Cuccagna con appesi salami, fiaschi di vino, caciotte e collane di salsicce per il vincitore della gara.
Al via scendevano precipitosamente dalla vetta del monte  molti carri infiorati tirati ciascuno da due maiali  bardati di rosso.
Compito dei giovani prescelti era quello di fermare i maiali alla guida dei carri, ma ciò veniva ostacolato dal sopraggiungere di tori liberati dall’alto del monte che eccitati da tutto quel rosso giungevano infuriati addosso a carri, maiali e giocatori e il giuoco diventava cruento  e molto pericoloso.
Al termine  questo  pandemonio indescrivibile si stemperava banchettando allegramente. 
Nella Settimana Santa, il corteo della solenne Via Crucis  ( Via Dolorosa ) partiva dal Campo Boario, passava salmodiando dinanzi alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin , proseguendo per la via Marmorata e dopo aver sostato sotto l’Arco di San Lazzaro raggiungeva il Monte che veniva salito in preghiera dai fedeli  fino alla Croce dove tutti s’inginocchiavano per ricevere  la Benedizione.
Il Monte Testaccio è conosciuto anche per le sue Grotte che sono sempre state delle Cantine ideali per la naturale temperatura di sette-dieci gradi costante per tutto l’anno e la presenza di vigneti nel circondario permetteva la facile sistemazione delle botti nonché  la costruzione di tinelli per la degustazione.
La prima grotta per il deposito di vino fu scavato alla base del monte nel 1667 con regolare contratto , dopodiché si succedettero le aperture di numerose altre Grotte/ Cantine e si cominciarono a costruire abitazioni sovrastanti e accanto alle grotte vie è stato sempre un fervente lavoro di artigiani dal bottaio al fabbro, dal carrozziere al pellaio. Che nel tempo sono state sostituite da scuole di musica e di pittura e negli anni più recenti da locali modaioli ed esclusivi.
Il Progetto degli anni trenta definì il Monte  Monumento Nazionale e malgrado la recinzione che ne proibiva l’accesso, veniva invaso da tifosi “portoghesi”che si godevano dall’alto la  Partita della Roma nello Stadio omonimo in legno che a quell’epoca sorgeva accanto al Cimitero Acattolico dove ora è stato
ricostruito un Campo sportivo per la gioventù  accanto alla scuola media Zabaglia.
Anche l’area in cui oggi vi è il Sacrario alla Memoria dei Militari caduti nel secondo conflitto vi era negli anni trenta un bellissimo Parco Pubblico con panchine e aiuole fiorite dove ogni domenica veniva allestito un palco musicale dove si alternavano le bande musicali dei vari Corpi militari per offrire dei suggestivi Concerti agli amanti della musica.
Di quel tempo è anche la piccola fontana del Boccale che guarnisce la strada.
Invece la bella   fontana delle Anfore quando fu creata dal Lombardi si trovava in piazza Mastro Giorgio  e adesso è in Piazza dell’Emporio come a presenziare l’ingresso al Rione che nel suo Stemma ha proprio un Anfora.
Nel 1888, all’Ingegnere Architetto svizzero  Gioacchino Ersoch fu affidata la costruzione del Mattatoio Comunale sul territorio a valle dell’abitato, ma in prossimità del Tevere che con molta celerità fu pronto nel 1899 e cominciò a funzionare nel 1891 dando un impulso nuovo a tutto il  Rione.
Si rese necessaria la costruzione di nuove  abitazioni per accogliere molte famiglie di lavoranti di questo Stabilimento che aveva turni di lavoro diurni e notturni  e nel 1907 molti isolati erano già funzionanti mentre le costruzioni si sono moltiplicate nel tempo rispondendo ai criteri di una aggiornata edilizia più moderna e confortevole.
Con l’avvio dello Stabilimento si aprirono molte osterie sulla stessa Piazza Giustiniani per rifocillare non solo i lavoratori adibiti ai vari settori della mattazione, ma pure i mercanti di bestiame che vi affluivano  provenienti da allevamenti vicini e lontani e quasi tutte le operazioni di compravendita di carne si effettuavano ai tavoli di dette osterie in un clima di costante allegria che veniva dai nomignoli curiosi e, talvolta a doppio senso con cui si appellavano i macellari.
Ne citiamo alcuni tra i più popolari: Cicerchione, Patalocco, Corpoliscio ,er Lesto, Spagnoletto, Saltarello, er Diavolo, er  Burino, Spartacone, er Santo.
L’arrivo di prima mano di ogni tipo di carne appena macellato, specialmente quella dell’ultimo quarto , promuoveva  piatti ricchi di sapori e di aromi mediterranei ben assortiti.
Questo ha portato il diffondersi della clientela che ha sempre affollato questi locali accoglienti e appaganti che contano ancora estimatori  di riguardo che apprezzano le pietanze di origine povera che seguono precisamente le antiche ricette perpetuando la stessa cucina, semplice, gustosa e sapiente che si unisce ai gusti più moderni secondo il desiderio del cliente.
Chi non conosce l’osteria di Turiddu , di Checchino  o  lo Chalet/ Baretto  della Sòra Rosa al centro della piazza?Locali caratteristici immortalati anche in  numerosi film di ambiente romano.
Oggi, il locale di Turiddu, ha un altro gestore, l’insegna è cambiata e vi si legge:
<<  DA PECORINO  >> . Ma si può essere certi  che nessuno intende modificare il modo di cucinare che continuerà a seguire la tradizione senza variare le regole  della sana cucina romana per la soddisfazione dei buongustai che, unitamente ai piatti moderni, troveranno sempre gli antichi e genuini sapori accompagnati da vini di classe.

ER MONTE DE LI COCCI

 

Nissun rione mai potr' avantasse

d'avecce un monte come cià Testaccio

tutto fatto de Teste ossia de Cocci

dell'anfore che un tempo se so'rotte.

 

Ereno quelle piene de derrate

che lungo er fiume venivano portate.

e a Ripa Granne veniveno sbarcate

p’èsse drento  all'Emporio  conzervate.

 

Ma quante furono l'anfore scocciate?

er conto vero nun ce l'ha nissuno!

Un fatto è certo che all'immonnezzaro

feniveno a 'gni sbarco un centinaro.

 

E daje e daje er mucchio se ingrandiva

er montarozzo sempre su saliva

divenne un Monte e se chiamò Testaccio

e fu l’arena pé quarche fattaccio.

 

Ner medioevo come a sentinella

ce misero 'na croce arta e bella

e li cristiani 'gni anno in processione

 

ciannaveno a prega' pé devozzione

e fin d'allora quela croce antica

protegge Roma che j’è tanto amica.