I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZOSTORICO
in tre parti

 

PRIMA PARTE
(2)

 

La giornata fieristica era giunta al suo culmine e il frastuono assordante aveva trasformato quel luogo di pace.

 Neppure le regole quotidiane abitudinarie vennero rispettate giacché le compravendite si susseguirono senza sosta e pure coloro che non erano interessati direttamente alle questioni di mercato, preferirono restare all’aperto, partecipando come spettatori.

 Tutti spiluccarono le leccornie esposte sui banchi e, con panini rapidi e invitanti si riempirono lo stomaco, rimandando alla sera una cena più consistente.

 Così fu anche per il signor Guglielmo.

 Oberato da mille impegni che gli venivano dal rappresentare la scuderia del proprietario per la vendita e l’acquisto dei cavalli di razza nonché per la richiesta del suo illuminato patrocinio, da parte dei mezzadri che ben conoscevano la sua competenza ed onestài, era richiesto ovunque si concludevano compravendite.

 Pertanto non accusava stanchezza e si riprometteva di porsi a tavola nella tardissima serata quando l’apparato festivo avrebbe cominciato a disfarsi, rimandando bilanci e resoconti nei prossimi giorni allorché la quotidianeità avrebbe ripreso il suo ruolo.

 Il Conte o meglio l’Avvocato, poiché questo era il vero ruolo del Signore di Farfa e quel titolo nobiliare era un modo popolare di denominarlo per via della moglie, nata contessa, ma che aveva perduto il titolo proprio a causa delle sue nozze con un “non titolato”.

 La gente del luogo però si faceva vanto di ossequiarli sempre come Conte e Contessa.

 L’Avvocato, a motivo della sua professione, era spesso assente perché chiamato in cause internazionali e quindi avendo riposto illimitata fiducia nel suo amministratore, aveva pressoché messa tutta l’azienda nelle sue mani, non dimostrandosi mai né oppressivo né duro, anzi, era riconoscente al suo uomo di fiducia che gli alleviava tanta fatica.

 Altrettanto benevolmente Guglielmo Sottini si comportava coi mezzadri e dipendenti, ciò che gli permetteva di svolgere i suoi compiti senza ansie ed eccessive preoccupazioni.

 si confaceva al suo carattere, affabile e premuroso, ma soprattutto amante dell’arte.

 Inutile dire che queste tendenze le aveva ereditate dai suoi antenati, compreso suo padre, bravo incisore, morto prematuramente lasciandolo capofamiglia in tenera età.

 Per tali motivi Guglielmo dovette interrompere gli studi dopo il diploma di ragioniere e trovarsi una occupazione che gli potesse consentire di sostenere la famiglia.

 Irene conosceva bene l’infanzia e la gioventù di suo padre e l’aveva sempre ammirato incondizionatamente; avevano entrambi lo stesso carattere e molti interessi culturali che li appagava.

Renata li chiamava: i miei “ topi di biblioteca “ perché per essi i libri erano cibo di cui si nutrivano; leggevano scambiandosi commenti e sviscerando profondamente gli argomenti con dei dibattici vivaci ed esaurienti.

 Accadeva spesso che parlando, la conversazione cadesse nel silenzio, ma tutti e due sapevano bene che i loro pensieri continuavano a scorrere su uguali binari e non appena riprendevano a parlare si ritrovavano d’accordo ancora.

 Quante volte per telepatia proronpevano con la stessa frase?

 Ciò li portava a ridere di cuore come fossero coetanei.

 Guglielmo per sua figlia era sempre stato il compagno di giuochi preferito e le ore di svago scorrevano felici e in pieno accordo.

 Mentre il padre l’aveva sempre trattata ”da grande” prendendola anche in giro con battute di spirito che talvolta la facevano anche impermalire, mamma Renata invece era sempre pronta a rammentarle i lavori casalinghi lasciati a metà per dare la preferenza alle letture....”per le quali c’era sempre tempo”...diceva.

 Dall’alba al tramonto Renata non perdeva mai tempo, non conosceva né indolenza né riposo e non appena sua figlia aveva terminati gli studi si era affrettata a responsabilizzarla affidandole della mansioni precise.

 Ad Irene infatti era stata affidata la cura dell’orto, del giardino e del pollaio, salvo poi le faccende di casa che svolgevano alternandosi, in più, nei momenti che sarebbero dovuti essere di riposo, doveva ricamare il suo corredo.

 Naturalmente, la mamma, non stava lì col bastone a sollecitarla, ma non ammetteva l’ozio ed era stata ben felice che sua figlia non avesse continuato gli studi come aveva ventilato la Contessa, adducendo a pretesto che era inammissibile che una ragazza così dotata dovesse ammuffire in provincia.

 Questo punto era l’unico disaccordo fra le due amiche e allorché la nobildonna si premurava di fare dei regali raffinati a sua figlia, Renata si rabbuiava, pensando che ogni cosa fuori dell’usuale potesse mettere scompiglio nella testolina di una ragazza sognatrice.

La Contessa amava veramente quella ragazzina che aveva visto crescere sotto i suoi occhi ed apprezzava la sua parlantina sicura nell’illustrare le reliquie del piccolo museo casalingo.

La Signora, affabile e democratica, apprezzava tutte le qualità degli abitanti di quell’alloggio modesto, ma pieno di affetto e di serenità oltre tutto sapeva perfettamente che il capofamiglia con la sua assidua attività permetteva a suo marito di stare tranquillo circa l’andamento economico e commerciale della loro vasta tenuta agricola.

La nobildonna, giunta ormai ad una discreta età, cominciava a sentire il rimpianto di aver dato più importanza alla vita mondana che ai suoi due figli, affidati fin dalla più tenera età alle cure di balie e cameriere per poi essere internati in Istituti scolastici adeguati alla loro condizione affinché conseguissero la carriera militare.

Gl’incontri dei due ragazzi coi genitori erano sempre stati rari, improntati a puro formalismo, privi di quegli slanci affettuosi che cementano l’amore famigliare,

Dacché poi erano entrati nella vita militare i loro contatti si erano vieppiù distanziati, ora forse, un tardivo rimorso le faceva capire di avere sbagliato come madre.

Ecco allora nascere entro di se il desiderio di fare qualcosa nei

 riguardi di una ragazza dotata, con non molte possibilità d’intraprendere studi superiori, anche perché ella era così amabile e intelligente proprio come la figlia femmina che avrebbe voluto.

Era per questo desiderio non realizzato che i due maschi avevano accusato la sua freddezza?

Adesso però avrebbe bramato un po’ di affetto filiale del quale si era, a suo tempo, privata per non sottrarsi ai molteplici impegni mondani:

il ruolo responsabile di madre l’aveva spaventata.

Qualcosa di tangibile per la ragazza avrebbe voluto fare per soddisfare in qualche modo quel senso materno che troppo tardi sentiva.

 Ma c’era mamma Renata ad impedire le sue intromissioni col suo modo diverso d’indirizzare la vita di sua figlia.

 Anche se culturalmente preparata ad affrontare una vita diversa, la sua bambina non doveva crearsi delle illusioni indirizzando i suoi pensieri verso mondi sconosciuti.

Bastava la consuetudine: Un buon marito e dei figli, senza correre dietro a sogni.

Pure restando nei limiti, la ricca signora, continuava a frequentare quella amabile casa ed anzi dopo aver scoperto che i decotti, le creme e le tisane di Renata erano efficaci e risolutivi, tanto da sostituire i prodotti farmaceutici costosi e spesso misteriosi, ne aveva fatto propaganda.

Per soddisfare le richieste, sempre più numerose, dei loro prodotti casalinghi, anche Irene che era appassionata coltivatrice, prese ad aiutare sua madre a bollire, filtrare, essiccare erbe e fiori mentre le scatoline e le bottigliette giungevano alla clientela aristocratica tramite la Contessa Vittoria che n’era entusiasta, specialmente vedendo l’impegno della ragazza che si stava rivelando veramente esperta.

Credette bene quindi incoraggiarla regalandole, per il suo onomastico, una serie di grossi quaderni affinché potesse annotarvi le tipologie e i dosaggi delle erbe officinali che già conosceva e che stava usando, aggiungendovi, col tempo, tutte quelle nozioni che avrebbe appreso.

Accompagnò il dono esortandola ad essere precisa e chiara, terminando con queste parole: “Chissà che il tuo lavoro non riesca così bene da essere pubblicato?... Vedremo...Vedremo!

Penserò io stessa a rifornirti di libri adatti!”

Scherzando aggiunse che probabilmente sarebbe stato un lavoro troppo impegnativo per una giovanetta che, sicuramente, non l’avrebbe preso sul serio.

La volitiva Irene, punta sul vivo, disse a se stessa che doveva riuscire in quell’impresa...Tantopiù se era considerata impegnativa.

Si accese d’entusiasmo e fu presa dalla frenesia di approfondire la conoscenza su erbe e fiori, tempestando sua madre di domande.

Ma tu sei convinta che li riempirai quella massa di libroni?

Va là, fra qualche tempo ne sarai stufa, te lo dico io!

Irene per risposta diventava ancora più esigente e chiedeva tempi, pesi, utilità e controindicazioni, fino a spazientire sua madre:

Ma benedetta figlia, tu pretendi l’impossibile da me.

Io non l’ho mica imparato a scuola quello che so...

E’ stata solo l’esperienza di mia madre che me l’ha insegnate queste cose e vado avanti con la pratica, calcolando ad occhio ciò che conosco, ma i grammi, i minuti esatti e tutte le minuzie che pretendi tu... le imparai col tempo.

Fu così che la giovanetta s’impegnò di adeguarsi nel modo più logico: ad ogni preparazione faceva seguire una dettagliata descrizione aggiungendovi il disegno di steli, semi, foglie e petali nonché tutte le informazioni che riusciva a trovare, studiando libri di botanica o chiedendo alle persone anziane della campagna tutto ciò che sapevano.

Annotava tutto in ordine alfabetico formando delle vere rubriche che scriveva a mano con la sua scrittura minuta e regolare.

Su ogni quaderno disegnò il suo monogramma fiorito : Una barretta verticale di fiorellini colorati simboleggiava l’iniziale del suo nome e un serto di foglioline verdi a forma di una esse l’abbracciava.

Era una civetteria dettatale dalla sua fantasia che avrebbe personalizzato il suo lavoro e che riscosse la più ampia approvazione dalla Contessa che a commento le disse: “ Ma chi lo avrebbe detto?!?

Sembra un marchio di fabbrica simile a un brevetto.

Se arriverai a compierla veramente, sarà un’opera davvero meritevole, sono fiera di te, cara piccina!”

Quell’identico monogramma la ragazza lo stava ricamando sul suo corredo da sposa.
Quando l’Avvocato era al Castello, si faceva notare per le sue quotidiane passeggiate nei dintorni sui suoi purosangue per respirare l’aria del primo mattino a pieni polmoni, che - diceva – lo disintossicavano da quel torbido e malsano fetore dei tribunali di tutto il mondo.

La sua distinzione era sottolineata dal modo di vestire che se non era in tenuta da cavaliere, amava indossare abiti bianchi con tanto di panama leggero sulla testa e bastone di bambù, allo stesso modo dei suoi amici inglesi nelle colonie britanniche, ove si recava spesso per patrocinare processi di alto livello data la sua conoscenza di ogni lingua straniera.

L’Avvocato era per tutti un uomo straordinario e dimostrava: di essere soddisfatto e felice.

Era però il suo self-control a dare questa impressione giacché un neo c’era nella sua esistenza ed era costituito proprio da Donna Vittoria che andava soggetta a delle crisi di depressione molto pericolose, durante le quali era convinta di subire delle persecuzioni, si rinchiudeva pertanto nelle sue stanze senza prendere né cibo né bevande, una volta uscita dalla crisi era spossata e debolissima.

Se ciò capitava durante le sue assenze i Sottini erano gli unici che l’Avvocato designava a stare accanto alla sua sposa, specialmente per rialzare il suo morale depresso.

Nei periodi di vacanza, sia estivi che invernali, la presenza del Conte costituiva una ripresa di vita mondana giacché si organizzavano feste splendide che davano modo alla Signora di esplicare le sue doti di squisita padrona di casa, ricevendo buona parte della nobiltà e, la sua aria felice che la ringiovaniva, rendeva al suo sposo l’amatissima compagna che per lunghi periodi egli era costretto a lasciare sola.

L’allegra atmosfera dei ricevimenti s’irradiava per tutta la Badia ed i paesani si assiepavano in due ali lungo la strada per ammirare i fastosi equipaggi e le ricche dame ingioiellate e truccate che partecipavano a quelle feste..

Le donne nel raccontare agli uomini sparsi nei campi le loro osservazioni, lasciavano trasparire l’invidia per quella gente privilegiata, che lasciava al suo passaggio una scia profumata.

Le contadinelle invidiavano Irene che era ammessa a quelle feste insieme ai genitori, particolarmente quando c’erano serate musicali.

La Contessa, oltre che invitarla, era lieta di presentarla facendola cantare, orgogliosa di avere una allieva così brava.

Per l’amministratore quelle serate restavano indimenticabili e si faceva un dovere nei suoi viaggi di ricercare quei brani e quelle voci che più lo avevano colpito.

In questo modo stava costituendosi una discoteca favolosa.

Nelle lunghe sere d’inverno riascoltava quei dischi accanto a sua figlia che s’incaricava di fare andare il maestoso grammofono a tromba, fra un punto e l’altro del ricamo.

La felicità di quelle serate sarebbe stata impressa nel ricordo di entrambi e l’appagamento spirituale che la musica infondeva nei loro animi, null’altro avrebbe saputo eguagliare.

Renata nel continuare le sue faccende, era spesso presa da tale atmosfera fatata e se si doveva muovere per qualche faccenda, lo faceva in punta di piedi.

La piccola famiglia era molto legata e gli anni di unione trascorsa non avevano scalfito menomamente l’amore e il rispetto fra i due coniugi ed era un valido e concreto esempio di un vero legame sancito dal sacramento matrimoniale.

La loro figliola credeva fermamente che così dovessero essere tutti i matrimoni e nei suoi sogni spuntava a volte una nuvola rosata con un evanescente principe azzurro, ma non ne intravedeva ancora le sembianze concrete, pur desiderando che fosse affettuoso e buono come suo padre.

Di una cosa era certissima che se si fosse sposata, anche se talvolta ne dubitava, sarebbe stata una brava moglie e una madre giudiziosa perché amava la vita casalinga e i bambini in particolare.

Lo dimostrava il fatto che in qualche momento di emergenza aveva fatto la supplenza alla maestrina ventenne che si dedicava agli scolaretti più piccoli, e che trovava in lei una valida collaboratrice nell’insegnare loro il modo di disegnare e comporre i “semplici lavori “ e quelle composizioni adatte alle inesperte manine da esporre a fine d’anno, fra l’entusiasmo dei loro parenti.

Dopo i festeggiamenti diurni e gli affari, quasi tutti conclusi bene, Farfa stava salutando la sua Madonna che rientrava nella Basilica fra canti e genuflessioni dei fedeli; gli occhi di tutti erano lucidi di commozione e pure chi non aveva trovato posto nel tempio si accalcò per scorgere la deposizione della Statua benedetta sull’Altare circonfuso di luce e cosparso di fiori.

A dare maggior suggestione fu il canto ambrosiano che si elevò solenne.

Le luci del giorno erano scemate e in quel crepuscolo cominciavano a riemergere le luminarie un po’ dovunque, mentre la facciata della chiesa, fu ancor più suggestiva con la luce di centinaia di fiammelle accese che tremolavano al tiepido vento della sera.

I venditori impacchettando le cose rimaste e finendo di caricare i banchi smontati sui loro carretti non tralasciavano di guardare dalla parte della Chiesa che, circonfusa di luce,stava riaccogliendo l’ Immagine celeste che era loro passata accanto durante la processione salmodiante, ma che da loro “fieristi “presi dagli affari, non si era avuta altro che un fugace segno di croce.

Restava l’attesa dell’ultimo atto di tripudio collettivo: lo spettacolo pirotecnico.
Data l’incertezza del tempo che nei giorni precedenti aveva recato piogge improvvise, le impalcature per la girandola erano state approntate all’ultimo momento e, circolava voce, che l’avessero addirittura eliminata dal programma.

 Renata e su figlia erano definitivamente rientrate in casa per preparare la cena, ma con le finestre aperte sbirciavano ogni tanto per constatare se il loro Guglielmo stesse per giungere.

 “Chissà che fame avrà papà?” disse Renata, sciorinando la tovaglia sul tavolo.

“ Ancora non si vede! “ Rispose la figlia sporgendosi dalla finestra.

 La tavola già pronta attendeva il suo arrivo mentre la fanciulla scrutava verso il bosco dove tra poco si sarebbero incendiate le girandole, all’improvviso il suo cuore diede un balzo...

 Là, appoggiato al primo albero c’era la figura maschia e bruna che per tutta la giornata si era riaffacciata nei suoi pensieri.

 Ed era rivolta proprio verso la sua finestra e guardava con insistenza dalla sua parte perché con la cucina illuminata egli la vedeva benissimo e non c’erano dubbi, stava lì proprio per farsi vedere, malgrado la stanchezza che doveva sentire.

 Non poteva essere per caso, lo dimostrava la sua posa, a braccia conserte con una gamba piegata all’indietro contro l’albero.

 Da quanto tempo era in quella posizione? La sua doveva essere stata un’attesa paziente giacché egli aveva terminato la sua merce prima degli altri, presa d’assalto come era stata per tutta la giornata; Irene aveva notato inoltre che al passaggio della Processione il suo gazebo già non c’era più, segno evidente che l’aveva già smontato e caricato, poteva quindi essersi messo sulla via del ritorno.

 Invece era lì appostato a curiosare dentro la sua casa ed ella che da più di un’ora stava sfaccendando, non si era accorta di nulla.

 Non sapeva cosa pensare e riandava col pensiero alle tante parole ammirative che l’avevano fatta arrossire mentre faceva i suoi acquisti accanto alla mamma.

 Chissà se aveva mangiato?

 E perché non si era trattenuto nella trattoria a far baldoria come usavano fare i mercanti dopo il lavoro?

 Evidentemente aveva un interesse maggiore a farle quelle...lontananze!

 Per lei quella era una novità!

 Suscitare un interesse di quel genere poi...presso un’estranea!

 La cosa più strana era che egli aveva trovato proprio il punto giusto per osservare la sua cucina.

 Nel frattempo avevano cominciato a lanciare i primi petardi che incendiando il cielo con mille sprazzi colorati illuminavano a giorno la posizione strategica dell’intraprendente romano che aveva fatto i suoi calcoli precisi per lasciare nel cuore di una pudica e semplice fanciulla un preciso ricordo.

 La strategia di Massimo ricalcava quella di tanti altri uomini e che si è sempre dimostrata sicura per accalappiare un cuore innocente, più vicino all’infanzia che all’adolescenza.

 Irene accusò il colpo e il dardo di Cupido trafisse il suo tenero cuore,lasciando una ferita che mai più si sarebbe chiusa.

Il borgo medioevale che si era formato attorno all’Abbazia non si differenziava granché da quello che doveva essere stato all’inizio e le modifiche che erano subentrate, dopo l’insediamento dei Conti V. se aveva cambiato una parte del Monastero in un lussuoso castello, dimora dei proprietari, non aveva certo diversificato le giornate della piccola schiera di anime che vi abitavano.

 Le abitudini per quelle persone erano sempre le stesse, uguali da secoli, con la prevalenza dell’agricoltura e dei piccoli artigianati locali.

 Vivevano troppo a contatto del convento per non subire e assimilare la vita spartana dei benedettini e la campana della chiesa scandiva le ore, segnando il tempo per ogni attività.

 I giovani in special modo risentivano le strettoie di pensiero e le privazioni di svago: tutto era loro vietato, persino l’esplicare la loro esuberanza e i loro scoppi di allegria; nulla e nessuno secondo i vecchi bigotti, avrebbe dovuto violare il silenzio e la preghiera dei religiosi.

 Con queste premesse, la gioventù finiva per rinchiudersi in se stessa, assoggettandosi a malincuore alle imposizioni dei genitori, che avevano dimenticato la loro spensieratezza giovanile, diventando quelli che erano.

 Sembrava persino impossibile che non comprendessero le esigenze dei ragazzi.

 Nessuno voleva capire che le coercizioni usate con troppa autorità avrebbero in alcuni casi indotto i loro figli ad andarsene verso spazi più aperti ed anche la fede non ci avrebbe guadagnato.

 La gioventù è già portata a sognare e desiderare cose nuove e diverse, figurarsi a commettere sbagli non voluti, giacché non serve fuggire dal proprio ambiente per godere agi, considerazione e libertà.

 Se non si nasce già con questi beni di fortuna è necessario guadagnarseli col sacrificio, il lavoro e la perseveranza, però ciò che più conta affinché il vivere non diventi un peso insopportabile è la libera e indovinata scelta della propria strada e perché no... essere aiutati da un po’ di fortuna.

 Quante persone soffrono per non avere la possibilità di emergere e far valere le loro innate capacità di mente e di cuore !!!

 Allo stesso modo ci sono pure esseri immeritevoli che godono di posizioni privilegiate dovute ad appoggi e compromessi e questa è una delle più grosse ingiustizie della società.

 I ragazzi in giovane età erano pochissimi a Farfa, ma già si consideravano fortunati per non trovarsi rinchiusi nel convento, però conducevano la stessa vita dei seminaristi che si trovavano lì per le vacanze.

Lo snodarsi della loro fila salmodiante era l’unico diversivo che rompeva il quotidiano silenzio al pari del passaggio di buoi e aratri che andavano e tornavano dai poderi.

Gli “interni “, pallidi e magri, nella loro divisa nera, facevano tenerezza e quella passeggiata giornaliera fino al bosco, serviva a ridonare loro ossigeno e colorito che, rotta la fila, sciamavano vivaci all’intorno alla cerca di erbe prestabilite che urgevano ai frati per preparare le loro specialità.

Irene li seguiva con lo sguardo, cercando d’indovinare le origini di ognuno poiché ce ne erano moltissimi biondi con la pelle chiara che sicuramente provenivano da paesi nordici, mentre quelli molto bruni e più mingherlini oltre che essere del sud denotavano anche la loro appartenenza a famiglie numerose che affidandoli al Seminario risolvevano molti dei loro problemi, salvo quelli di condurli verso una vocazione che non sentivano.

La ragazza si commuoveva quando vedeva i più piccini ritornare con un mazzolino di fiori campestri che poi ritrovava sugli altari allorché si recava in chiesa.

 Mamma Renata compativa i poveri “convittori”, come lei li chiamava; Indovinando il dolore delle loro madri, sapendoli lontani; lei non aveva mai accettato l’idea di mandare sua figlia in collegio, cosa questa che a un certo momento avevano discusso in famiglia.

Con l’aiuto della Contessa però erano addivenuti ad un accordo con uno dei professori del ginnasio religioso che con lezioni private regolari aveva portato la ragazza a conseguire un buon grado d’istruzione.

Ma dacché si trovava in quella certa età, di malinconie ed incertezze, propria d’ogni adolescente coll’impatto della pubertà, allegrie e tristezze, apparentemente immotivate, si alternavano in lei e, pure amando incondizionatamente i quattro sassi della sua terra natia, avrebbe bramato scuotersi di dosso l’immobilità di giornate sempre uguali che dopo aver portato a termine tutti i suoi doveri la bloccavano lungo tempo a rincorrere le sue fantasie.

Non era allettante la prospettiva di vivere così per sempre!

Avrebbe desiderato farsi un’idea più concreta del mondo che non conosceva se non attraverso le letture, dalle quali sua madre la distaccava in modo molto prosaico: “Le cose che si leggono sui libri non sono veritiere, - soleva dire- ma solo fantasie di scrittori, la vita pratica è un’altra cosa!”

La giovanetta, era come quei fiori nascosti del bosco che, prossimi a sbocciare, appaiono però quasi inesistenti senza il bacio del sole che tarda ad arrivare, ma che non appena sono avviluppati dall’amoroso calore dell’astro, schiudono le loro corolle, mostrando il loro splendore e il loro profumo e la dirittura dello stelo é pronto a farsi cogliere da chi mostra di amarli.

Ogni fiore allora, si affida ignaro e fiducioso alla mano che lo spicca, e mai, prima di essere posseduto, saprà se chi lo avrà in suo potere saprà amarlo veramente, apprezzandolo e rispettandolo affinché la sua fragranza e la sua vitalità si conservi a lungo.

Lo sbocciare d’una fanciulla è simile a quei fiori!
Trascorsi quindici giorni dalla Fiera, ancora vivissimi, riaffioravano i ricordi e le sensazioni in tutti coloro che vi avevano partecipato.

In casa Sottini, per motivi diversi, se ne parlava ogni tanto.

Il capo famiglia. per le consegne e riscossioni che ancora erano in corso, sua moglie, perché doveva tenere dietro alla preparazione di richieste fitoterapiche, la loro figlia. per una sorta di nervosismo che le era rimasto addosso…da quel giorno appariva cambiata.

Renata attribuiva tutto ciò all’imminenza delle nozze della cugina, però se quell’invito le causava tanto nervosismo perché mai non si decideva a tagliare l’abito che avrebbe dovuto indossare per l’occasione?

Al momento dell’acquisto era sembrato dovesse farlo immediatamente, erano invece trascorse due settimane, rimandando di giorno in giorno.

Perché Irene era diventata cosi irritabile?

La buona signora non sapeva spiegarselo!

La sua bambina, così distratta e assente, non lo era stata mai e non se ne capacitava; aveva provato persino a farle prendere i suoi sciroppi a base di erbe specifiche per la malinconia nonché le tisane calmanti di arancio e tiglio.

Giunse a considerarla ingrata.

Aveva speso più del previsto al mercato della Fiera per vederla contenta ed ora sembrava non importarle più di nulla.

A volte s’incantava persino sul piatto mentre era a tavola.

Non era mai capitato nulla del genere e quelle piccole diversità nelle abitudini della loro figlia, avevano messo in allarme tutti e due i genitori... che pure, capitavano perfettamente, che il suo carattere non poteva restare dolce e sottomesso come da bambina, quando con tutte le sue insaziabili curiosità, assillava il papà che era ben felice di rispondere ai suoi perché.

Per questo motivo egli riportava dai suoi viaggi tanti “souvenir” alle “sue donnine” come le chiamava per gioire della loro felicità.

La mattinata domenicale era grigia perché il cielo rimandava il colore plumbeo che annunziava la fine della bella stagione, anche l’umore d’Irene si adeguava a quell’atmosfera, avendo passata una notte pressoché insonne, rincorrendo qualcosa d’indefinibile.

Dopo aver preso un bagno ristoratore e aver raccolto i capelli umidi in una crocchia, scese col suo semplice abitino di cotone azzurro, nel piccolo giardino per dare acqua ai suoi adorati fiori.

Si aggirò un po’ fra le aiuole togliendo qua e là le foglioline appassite e i rami secchi, dispiaciuta che le rose rosse addossate al muro di cinta fossero tutte sfiorite.

Passò a raccogliere, nell’orticello, i fiori delle zucchette, pronti per essere fritti in pastella che erano una sua piccola golosità.

Avrebbe chiesto alla mamma d’includerli nel pasto serale, nel frattempo che portava a termine i suoi lavori cercava di memorizzare meglio cosa l’avesse tenuta sveglia quella notte.

Non era stato certo il breve viaggio di suo padre, che sarebbe ritornato in serata, era piuttosto un’altra figura maschile che si sovrapponeva insistentemente a quella dell’amatissimo genitore ed aveva gli occhi scuri e i capelli inanellati come quelli d’un gitano ed un sorriso spavaldo sotto un paio di baffi arditi.

Con un sospiro si riscosse pensando di andare a cambiarsi per recarsi più tardi alla Messa di mezzogiorno insieme a sua madre.

Si volse verso la portafinestra della cucina, alzò la tenda e vide...l’uomo dei suoi sogni.

Ristette sulla soglia con una espressione sbalordita mentre osservava il quadretto che aveva dinanzi:-  Egli era seduto presso il tavolo del tinello e sua madre, in piedi, pendeva da quelle labbra ridenti.

A Irene non sfuggì l’eccitazione di sua madre….ciò che stava dicendo Massimo Sarducci doveva essere davvero molto interessante.

 

 

All’alba di quel giorno, il commerciante romano, era già in viaggio sul suo carrozzino leggero ed elegante, guidando un cavallo di buona razza.

Massimo era stato sempre amante dei cavalli, cominciando ad interessarsene da quando accudiva il ronzino di suo padre.

Da ragazzo preferiva passare molto tempo nella stalla in riva al Tevere piuttosto che applicarsi ai compiti scolastici, finendo per disertare completamente le lezioni.

Il padre e la madre, analfabeti, non si diedero pensiero della scelta del loro ragazzo, trovando più conveniente che li aiutasse nel lavoro.

Un cavallo forte e resistente prese il posto del ronzino vecchio e bolso, dopo la morte de padre e, per parecchi anni, ebbe il gravoso compito di trasportare il carro contenente le pezze di telame da corredo e di tessuti vari per la “Sora Giacomina e per le vendite ambulanti del figlio.

Morta anche sua madre, Massimo si era concesso il lusso di acquistare una bestia importante sulla quale poter contare sia per il lavoro saltuario delle fiere che per il più ricercato carrozzino da diporto che destava l’invidia degli altri commercianti.

Essere invidiato era sempre stata l’aspirazione più grande di Massimo perché in tal modo sentiva di essersi realizzato annoverandosi fra i benestanti della capitale.

A bordo del suo equipaggio, imboccò la Via Salaria, non lasciandosi influenzare affatto dal tempo imbronciato.

Era molto soddisfatto della cura che aveva dato alla sua persona e dell’abbigliamento scelto per l’occasione: un completo sportivo con pantaloni alla zuava, inusitato per lui, ma doveroso per la visita che stava per fare.

Persino i suoi baffi erano stati pressati nell’arricciatore per dargli una forma più imponente.

Costretto dal colletto duro che abitualmente disdegnava se ne stava impettito con le redini allentate giacché il morello trottava spedito molto meno affaticato del solito.

Riconosceva sicuramente il percorso fatto di recente e non aveva bisogno di sprone, non c’era neppure la fretta di giungere in un orario prestabilito e anche questo la bestia sembrava intuirlo, dato che il conducente se ne stava muto senza dargli sollecitazioni come di consueto quando trasportava il grosso carretto,

Per la verità il suo padrone un po’ nervoso lo era, lo dimostrava il continuo sbirciare l’orologio attaccato alla catena d’oro del panciotto, bene in vista, secondo la moda.

Stava per compiere un passo importante che aveva valutato sotto tutti gli aspetti dal momento che aveva posato gli occhi sulla ragazza sabina.

Non che avesse ricevuto un colpo di fulmine da rimanere abbagliato, ma la cosa era conveniente per lui, quindi meglio concludere al più presto, prima che qualcun altro gliela soffiasse.

S’immaginava che in quel piccolo borgo di gente pacifica, una ragazza giovanissima e ingenua, per di più di buona famiglia, era una fortuna che bisognava accaparrarsi.

Una moglie campagnola con vedute ristrette e senza grilli per il capo - si disse - era proprio quello che faceva al suo caso e se moglie doveva prendere doveva essere quella!

Nella sua attività aveva avuto modo di osservare svariati tipi di donne e ne ritrovava virtù e difetti di madre in figlia, quindi per una garanzia sicura bisognava basarsi sulle madri, questo era certo.

Sulla moglie dell’Amministratore non potevano esserci dubbi: era amata e rispettata da tutti e con tante buone qualità !

Egli conosceva persino l’entità dei capi di corredo che la figlia avrebbe portato in dote, avendoglielo fornito egli stesso la roba migliore.

L’idea di un rifiuto non lo sfiorava neppure!

Sorrise a se stesso per l’astuzia che aveva usato: farsi notare e sparire fra i fumi dei fuochi artificiali.

...Era stata veramente una splendida strategia!

Chissà quella sera Irene per quanto tempo era rimasta incollata alla finestra nella speranza di vederlo ancora?...

S’era programmato anche l’odierna visita, conoscendo le abitudini del paese.

Sarebbero stati tutti in piazza prima della funzione religiosa così da non sfuggire alla vista dell’intera comunità, dando adito alla curiosità e allo spettegolare delle comari, compromettendo così la sua...candidata.

Il cavallo coprì il percorso con un’andatura regolare e, soltanto lungo il pendio, dopo il bivio, prese un trotto più accelerato, dirigendosi sicuro verso la piazzetta di destra, all’imbocco della Badia, si ricordava benissimo del “fontanone” che vi sorgeva dove era stato abbeverato e legato per tutto il tempo della fiera.

Sveltamente Massimo fu a terra, fece bere il morello, agganciò all’apposito anello le redini senza staccare il legno, non sapendo quanto sarebbe durata la sua visita, s’incamminò quindi verso la sua meta.

Trovò la sua cliente che stava spazzando i gradini dell’uscio, si affrettò a salutarla ben lieto di rompere il ghiaccio con lei.

Sorpresa nel vederlo in abiti da festa, le venne fatto di scherzarci su: “Signor Massimo come mai ha scelto proprio questo posto per fare una scampagnata?... e aggiunse: qui da noi, lo sa bene, non c’è alcun divertimento per chi è abituato a Roma!”

Il giovane sorrise, rispondendo che era venuto a trovare proprio lei, anzi il signor amministratore al quale doveva fare una richiesta importante.

Un attimo di perplessità immobilizzò Renata che riprendendosi all’istante fece presente l’assenza di suo marito, il quale non sarebbe rientrato prima del tramonto.

Se era veramente cosa urgente, sarebbe potuto ripassare in serata.

Vedendo però l’imbarazzo del visitatore, con molta cordialità lo invitò in casa per una tazza di caffè.

Era quello che Massimo aspettava!

Preceduto dalla signora, il giovanotto oltrepassò quella soglia mentre ella faceva presente che sua figlia era in giardino e che l’avrebbe chiamata subito.

Massimo però le chiese di attendere un po’ perché preferiva esporre il suo problema soltanto a lei.

Suo malgrado Renata cominciò a turbarsi per tanto mistero, non capacitandosi di qual natura fosse l’argomento; ella non sapeva quanto la situazione favorisse i piani del mercante che si trovava ad essere agevolato da quel preliminare abboccamento, la fortuna decisamente era dalla sua parte!

Egli prese a parlare con fare suadente, risvegliando la commozione della sua ascoltatrice, mentre le raccontava quanto fosse solo dopo la morte della madre e che, fra negozio e fiere, non aveva ancora avuta la possibilità di incontrare una brava ragazza da sposare, malgrado quello fosse stato da tempo il suo desiderio più grande.

Nel vedere Irene però si era deciso ed era lì proprio per questo scopo: chiedere ai genitori la sua mano.

Inutile dire la confusione di Renata!!...

Dell’esitazione della signora egli ne approfittò dicendo che non esigeva una risposta immediata, dopo aver parlato anche col signor Guglielmo, egli avrebbe aspettato le loro decisioni.

Su quest’ultima frase la tenda della porta-finestra si sollevò...
Nel varcare la soglia, la bella Irene fu colta da emozione e il suo rossore non sfuggì a sua madre e, ne tanto meno al suo pretendente, che se lo godette veramente nel considerare mentalmente che egli aveva lasciato un ricordo assai vivo col suo modo di fare.

Le occhiate perplesse e il leggero tremito che pervadeva la ragazza erano la conferma che la curiosità in lei era forte e bramava essere messa al corrente del motivo della presenza del romano così improvvisa e inaspettata.

Certamente era combattuta nell’incertezza di un qualcosa che vagamente inseguiva da due settimane, tanto da non riuscire a spiccicare parola; si limitò ad un cenno del capo, quasi un inchino, affrettandosi a disporre i fiori di zucca raccolti in una terrina piena d’acqua.

Si teneva occupata per darsi un contegno mentre il suo cervello elaborava rapidamente diverse spiegazioni:-

Chissà se era stato premeditato quel suo stratagemma di osservatore crepuscolare?

Da quella sera aveva ancora pensato a lei come una ragazza veramente “grande”?

Oppure erano delle ragioni veramente serie e commerciali che l’avevano condotto a parlare con suo padre?

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