ROMANZOSTORICO
in
tre parti
PRIMA
PARTE
(4)
L’impatto
con Roma fu per Irene una cosa sconvolgente!
Subito
i primi giorni, il marito, si sentì di assumersi il compito di
accompagnarla a visitare i punti più noti e caratteristici anche per
tenere fede ai patti fatti con la suocera che si era raccomandata di
accontentarla per non farla sentire troppo estranea nella città che non
conosceva.
Nei
pomeriggi della prima settimana Irene, fu ben felice di girare per le
strade della capitale a bordo di una “botticella”, la caratteristica
carrozza romana conosciuta dai turisti di tutto il mondo e dove la sposina
si trovò subito a proprio agio perché le parve quasi di essere nel
carrozzino di suo padre.
Massimo
accanto a lei con aria di superiorità, che le veniva dall’essere nativo
di Roma, indicava al vetturino i vari luoghi da visitare, ove poi lo
stesso conducente finiva per fare da Cicerone, sorpreso a volte di
constatare che la giovane signora conosceva la storia di chiese, piazze ed
altre bellezze, meglio di loro nativi del posto.
Aveva
ben capito che era la prima volta che ella si trovava a Roma, ma sorpreso
dal fatto che il marito non tralasciasse una volta di schernirla per
quelle sue spontanee e ingenue espressioni di entusiasmo che, come quelle
di una bambina, esplodevano improvvise e irrefrenabili
I
motti grossolani e prosaici del compagno infastidivano la giovane sposa
perché avevano il potere di zittire i suoi entusiasmi e suscitare i
sorrisetti ironici del vetturino;
Ella
rifletteva, intanto, alle puerilità del suo imprevedibile marito che la
deludeva molto poiché gli stavano rivelando la pochezza della sua
personalità.
L’esplorazione
di Roma si era racchiusa tutta in quelle rapide scorribande in carrozza e
Irene si riprometteva di ritornare con più calma in ognuno di quei luoghi
visti così di sfuggita e superficialmente.
Pensava
di poterlo fare anche durante le uscite per la spesa quotidiana, al
mattino presto, magari nell’accompagnare suo marito al negozio.
Purtroppo
questo suo desiderio dovette essere accantonato per volere di Massimo che
non le permise di uscire da sola, promettendole però che
l’avrebbe
accompagnata lui stesso non appena avesse potuto sottrarsi ai suoi impegni
di lavoro, forse nei giorni festivi.
Rintuzzando
il dispiacere, si accontentò di ripassare con la mente le stupende
visioni di Roma: rivisse il tuffo al cuore provato allorché, uscendo dal
dedalo dei Borghi, si era trovata d’improvviso di fronte alla maestosa
Basilica di S. Pietro. Per quanto ne conoscesse la storia e la struttura,
le apparve ancor più possente.
Ritornò
al momento in cui, scesa di carrozza, s’ingegnò a ricercare quel punto
preciso, di cui le aveva parlato suo padre, da dove le file del colonnato
della piazza, apparivano come se fosse un solo giro di colonne, la
scoperta la rese gioiosa al punto che giunse le mani quasi a ringraziarne
il cielo.
Era
pervasa di felicità percorrendo le strade cariche di storia!
Dall’alto
della scalinata di Trinità dei Monti, le sembrò di abbracciare
tutti
i tetti circostanti e, incurante del sarcasmo e l’ironia che le sue
azioni suscitavano nei suoi accompagnatori, volle scendere dal legno per
rincorrere la miriade di colombi che la circondavano.
Assorbì
in pieno l’incanto della Capitale più famosa del mondo!
Ne
ritenne un bagaglio ineguagliabile di sentimenti nuovi ed appaganti e per
questo fu disposta a dimenticare le battute salaci e mortificanti del
marito, al quale doveva riconoscenza perché, sposandola, le consentiva di
divenire cittadina della città che tanto amava.
Roma,
accanto alle sue splendide bellezze, mostrava anche dei Rioni molto poveri
e malsani a causa dei territori incolti ed a marrane stagnanti e
maleodoranti che dividevano gli agglomerati abitati che, per la vicinanza,
di detti luoghi erano infestati da ratti e insetti parassiti.
Non
ancora provviste di acqua e luce, molte case di allora non erano certo
invitanti per il poco spazio e nessuna comodità, cosicché chi le abitava
era invogliato a starsene il più possibile all’aperto, seduto fuori dei
portoni o ai bordi delle fontane e all’aperto svolgeva i suoi lavori
quotidiani sotto gli occhi di tutti e il suo orologio era la luce solare.
Naturalmente
i prati incustoditi e le marrane erano le mete preferite dei ragazzi ove
sfogavano la loro esuberanza chiassosa fra scherzi e giuochi più o meno
pericolosi, trascorrendovi un’infanzia spensierata e analfabeta, fino a
quando venivano assorbiti, come mano d’opera sfruttata al massimo dai
Mastri artigiani che però gli avrebbero trasmesso la capacità di un
lavoro valido per il loro avvenire. Il più delle volte erano le famiglie
a pagare l’artigiano alfine di assicurare ai figli, l’insegnamento di
un mestiere.
In
quegli anni, la città dei Papi stava subendo radicali trasformazioni
architettoniche per aderire al “Piano Regolatore “ sancito nel 1883 e,
specialmente al centro,vennero sacrificati svariati monumenti e ambienti
classici, per consentire l’allargamento dei Rioni, da Via Nazionale al
Ghetto ebreo, dal Tritone al Tevere, dall’ Esquilino ai Prati di
Castello.
L’intensa
attività dell’edilizia privata, costruì, lungo le arterie principali,
i grandi e solidi palazzi grigi che, nel tempo, avrebbero denotata
l’epoca Umbertina.
Nuova
storia da sommare a quella del passato glorioso, testimoniato dagli archi
di trionfo, dalle fontane e dalle basiliche che furono grandi opere
dell’ arte e dell’ingegno ben datate e d’inestimabile valore
culturale e religioso, commissionate per lo più dai Papi, mecenati dei più
grandi artisti.
I
più recenti alloggi plurifamiliari, erano una caratteristica dei primi
nuclei urbani e rispettavano il sistema edilizio romano, conseguente
all’editto di Augusto che limitava l’altezza dei palazzi a sessanta
piedi, corrispondenti a venti metri oltre i negozi di vendita e alle
botteghe artigianali.
Questi
palazzotti non andavano oltre i quattro piani e vi si accedeva per delle
scalinate strette,ripide e buie.
Sorti
però senza un preciso criterio urbanistico armonioso, erano addossati
l’uno all’altro e divisi da stradine come budelli., costringrvano chi
li occupava ad una sorta di vita promiscua che opprimeva.
Anche
l’infanzia di Massimo si era uniformata allo stesso modo e, tranne
quando doveva accompagnare il padre fuori città alle varie fiere, passava
delle ore a bighellonare fra sterpaglie sassi dando la caccia alle
lucertole e contando le formiche, ma sempre da solo poiché non legava con
nessuno dei suoi coetanei ; pensoso e rabbuiato, sembrava avercela sempre
con tutti non accettando alcuna battuta scherzosa,che piuttosto, veniva
presa al contrario a causa della sua permalosità.
Prendendo
in affitto l’appartamentino, il capofamiglia aveva fatto un salto di
qualità giacché proveniva dal misero “basso” di Borgo vecchio” che
sua madre aveva anche adibito a luogo di vendita delle sue tele da
corredo, sciorinando la sua merce sull’angusto banchetto messo di
traverso all’uscio per impedire agli estranei l’accesso nell’interno
della casa.
La
vecchia mercante vi aveva trascorso gran parte della sua esistenza e né
lei né il figlio si erano mai curati di procurarsi un alloggio più
comodo, neppure quando quest’ultimo aveva aperto il negozio nella strada
più importante di Roma.
Per
parecchio tempo, Massimo aveva continuato ad abitarvi e soltanto in vista
delle nozze, si era convinto che necessitava di una casa più adeguata
alle sue nuove necessità; tantopiù che lui voleva emergere ed essere
considerato al disopra dei suoi effettivi meriti.
Irene,
soggiogata fino in fondo all’animo da tanto godimento spirituale, non fu
in grado di mettere a fuoco per intero l’impostazione che il suo uomo
stava dando alla loro vita coniugale, né fu sfiorata minimamente che le
idee, la diversa educazione e, soprattutto, i diversi punti di vista che
stavano venendo a galla, le avrebbero arrecato tali amarezze e delusioni,
da sconvolgerle il resto della vita.
La
coppia era agli antipodi in tutto e toccava sempre alla donna
assoggettarsi ai voleri imposti dal “maschio” sia per parare le di lui
sfuriate aggressive del dovute al caratteraccio che andava svelando, sia
perché, sinceramente innamorata, voleva farlo contento.
Si
lasciò assorbire completamente dai lavori che la casa nuova richiedeva,
c’era tanto da fare infatti che le giornate scorrevano veloci e piene di
lavoro che, distraendola, l’allontanavano da pensieri più profondi,
Il
loro alloggio in affitto, non distava molto dalla bottega e neppure dalla
stalla e Massimo l’aveva scelto principalmente per questi motivi giacché
le sue giornate erano divise fra questi due luoghi.
La
casa, non molto grande, era arredata modestamente, ma conteneva
l’indispensabile senza nulla di superfluo, da queste scelte,dovute al
capofamiglia, si sarebbe già potuto arguire la sua ristretta mentalità.
Situata
all’ultimo piano, era isolata alquanto dagli altri appartamenti e questo
non avrebbe facilitato i rapporti di vicinato… un’altra scelta voluta
da Massimo che conosceva perfettamente l’andazzo consueto delle
“comunelle” fra coinquilini che finivano per tenere gli usci di casa
sempre aperti ed ognuno sapeva ogni fatto intimo dell’altro.
Nelle
case popolari era consuetudine vivere come in un piccolo paese, dove tutti
si conoscono, si scambiano favori e opinioni e ove non mancano poi i
relativi pettegolezzi e inevitabili litigi.
A
Massimo non garbava tutto questo e quindi era meglio evitarlo fin da
subito e così, la casa di via degli Schiavoni, a un passo dal Corso
Umberto e dal Porto di Ripetta, doveva essere, per la sua famiglia, come
una piccola isola solitaria e senza contatti; la finestra della camera da
letto si affacciava sulla via stretta e lunga, delimitata dalla parte del
Tevere dalle due chiese antiche e,dalla parte opposta, da una minuscola
piazza dove non era possibile sostare a lungo perché, quella doveva
essere soltanto una strada di scorrimento per i carretti che, nei due
sensi, la percorrevano notte e giorno, per trasportare le merci che si
scaricavano nel Porto.
Fortunatamente
casa Sarducci era dotata di una minuscola loggia ove una lama di sole
riusciva ad illuminarla ogni mattina.
Quel
piccolo spazio al disopra dei tetti aveva reso felice la sposa e in,cuor
suo, già si vedeva alle prese con vasi, terra bulbi e sementi, così da
far divenire quel piccolo vano un surrogato del giardino che aveva
lasciato nella casa paterna.
Si
sarebbe rivolta a suo padre per avere l’occorrente e,lui, sarebbe stato
lieto di accontentarla.
La conferma la ebbe alla prima visita che il signor Guglielmo le fece. Per la verità, suo padre fu un po’ contrariato nel contare tutti gli scalini che aveva dovuto affrontare per poter riabbracciare sua figlia, ma non commentò più di tanto questo fatto, quello che notò mentalmente fu però il tono più che modesto di tutta la casa che non aveva nessuna comodità e nessuna civetteria, quale ci si sarebbe aspettati di trovare in un nido di novelli e facoltosi sposi. Con tutti i misteri che il marito di sua figlia aveva fatto attorno a quella nuova abitazione, c’era d’aspettarsi che avesse arredata una Reggia. Il risultato, invece, era men che mediocre! Papà Guglielmo, a distanza di soli due mesi dal giorno delle nozze, notò in sua figlia molti cambiamenti, soprattutto il suo pallore… Sapendo che il marito non l’avrebbe fatta lavorare nel negozio e non le concedeva di uscire da sola, la povera ragazza, era destinata a morire d’inedia, tutta sola e al chiuso. Abituata com’era a stare sempre all’aria aperta, la sua salute ne avrebbe sicuramente risentito. Se ne ritornò a Farfa molto impensierito, rimproverandosi di avere acconsentito a quelle nozze con troppa facilità: L’aspetto sano di quel giovanotto e il suo fare sicuro l’avevano ingannato, non gli era venuto neppure in mente che egli avesse potuto mettere in atto una commedia, non ne vedeva i motivi. Sua figlia, del resto, non si era lamentata di nulla, infervorata com’era a chiedere notizie della mamma e della contessa e a fare l’elenco di tutte le cose che gli avrebbe dovuto portare alla prossima sua visita perchè ella era impaziente di riempire la sua loggia di piante e fiori. Durante il breve viaggio di ritorno il buonuomo ebbe tempo per mettere a fuoco molte cose che gli erano apparse strane nel menage degli sposi e che lo lasciavano molto dubbioso. Esternò i suoi timori alla moglie, ma la candida sua metà si affrettò a rassicurarlo: “non ti crucciare per cose inesistenti, mio caro, succede a utte le sposine di spallidire e perdere peso, mentre gli uomini, invece, ingrassano nei primi tempi ! “ Guglielmo non volle contraddire sua moglie, ma rimase coi suoi tristi pensieri e si ripromise di far visita a sua figlia più spesso, facendosi premura di non farle mancare i buoni prodotti genuini della campagna che, sicuramente, avrebbero fatto ritornare il colorito sul volto d’Irene. Questa intanto, giorno dopo giorno, si stava accorgendo dei lati negativi di colui che aveva sposato con tanta fiducia. Egli si tratteneva in casa lo stretto necessario e fra il negozio, gli acquisti e le consegne di merce, non aveva mai tempo per dedicarsi a sua moglie. A lui bastava trovare la casa in ordine, i pasti pronti e la biancheria lavata e stirata, si capiva benissimo che questi erano i soli motivi per cui l’aveva sposata; nella sua ingenuità, attribuiva a se stessa il risultato poco entusiasmante della loro unione e pensava che suo marito si fosse pentito del passo fatto. Confrontandola forse con tutte le sue clienti, certamente la sua moglie campagnola usciva perdente…questa poteva essere la ragione della freddezza nei suoi riguardi...anche perché lo sottolineava spesso, mortificandola e allungandole pure qualche schiaffo se non era sollecita adesaudire qualcuna delle sue richieste.
Veniva trattata sgarbatamente, come qualcuno faceva con le serve negligenti. Ella che si sforzava di compiere ogni lavoro nel miglior modo possibile e con tanto amore e non riusciva a capacitarsi delle sue violenze; aveva l’impressione che era contento solamente nel vederla umiliata e confusa. Costretta a subire le sue ingiustizie, si sentiva preda della malasorte e non trovava nessun motivo di conforto per risollevarsi lo spirito depresso. Non poteva neppure farne partecipi i genitori così lontani e distanti col pensiero da ciò che le stava accadendo; non glielo avrebbe neppure detto, se avesse potuto, per non rattristarli. Come raccontare loro che il genero non era il gentiluomo che essi avevano creduto? Perché mettere nel loro animo una spina dolorosa facendogli conoscere la tristezza del suo vivere? E l’accoramento delle sue lacrime solitarie ? L’ostracismo di Massimo era iniziato fin dalla prima notte….della quale si era sentito defraudato a causa della sua indisposizione fisiologicae stava ancora punendola, quasi ne avesse avuta lei la colpa, senza considerare l’angoscia e la vergogna da lei provata in quella situazione; eppure, dopo la cerimonia religiosa, all’accenno di sua madre sull’argomento, aveva detto esplicitamente di essere uomo di mondo e che era suo dovere prendersi cura della giovane sposa, adattandosi alla circostanza improvvisa.
Tutte bugie quelle! L’aveva schifata come cosa immonda e anzi gli aveva fatto capire che per lui era come avesse avuto accanto una donna impura che portava male, allora non capì se parlava per cattiveria o per superstizione, sotto gl’influssi di pregiudizi atavici che ritenevano maledetta la donna mestruata, ma se ancora dopo mesi ci ritornava sopra facendogliene colpa, c’era da pensare che il suo cervello andava soggetto a fobie. Irene vedendosi respinta con tali accuse non poté fare a meno di piangere e questo accrebbe la di lui acredine. Da subito la sposina capì che con suo marito sarebbe stato meglio adottare il silenzio, almeno non gli avrebbe dato appigli per cominciare a litigare; poiché sembrava che questo cercava. L’adottare il silenzio, fu una grande forzatura sul suo carattere chiaro e sincero, quel dovere sempre inghiottire e serrare le labbra per non rispondere ai rimproveri immeritati la faceva star male. Cominciò a perdere l’appetito e il sonno, divenendo anche gelosa per le tante ore che lui passava fuori casa. Questi i motivi che mostrarono a suo padre quel viso smunto che tanto lo impensierì. Ad ogni modo Guglielmo, si fece un dovere di andare a visitare sua figlia una volta al mese e fu un bene giacché i suoi rifornimenti fatti di buoni sapori dei sani prodotti casalinghi di sua madre, riuscirono pian piano a vincere l’anoressia nervosa della giovane donna. Soprattutto però furono le visite periodiche del suo amato papà che la riempivano di gioia ridonandole l’amore per la vita che la spronarono ad interessarsi di nuovo dei suoi appunti di erboristeria, imponendosi di dedicarvi un’ora al giorno, dopo aver sbrigato le sue faccende. Riprese i suoi quaderni e per ordine alfabetico s’ingegnò di riportarvi, con la sua scrittura semplice e chiara tutte le annotazioni che aveva raggruppate in tanti foglietti mentre vedeva sua madre che preparava con mani esperte tisane, decotti e sciroppi per quanti gliene richiedevano. Anch’essa aveva imparate molte cose nell’aiutarla, ma ora se non ci si applicava coscienziosamente, avrebbe dimenticato tutto e, siccome Irene non aveva clienti, come Renata, per erudirsi avrebbe soltanto dovuto studiare. Fu ancora suo padre ad aiutarla in questo progetto che avrebbe riempito la sua solitudine. Giunse così, inaspettato e graditissimo, l’abbonamento alla Scienza del popolo, mensile medico che le sarebbe giunto puntualmente da Milano, del pari ricevette piantine e sementi per le sue piccole coltivazioni casalinghe e, sempre ad opera di suo padre si ebbe vasi e terra per metterle a dimora. Si sentì rinascere l’infelice sposina e ben presto il suo piccolo angolo verde divenne un’oasi profumata. Vi si appartava contenta quando aggiornava i suoi quaderni e quando riprese a ricamare il suo corredo, lasciato a metà a causa del suo legame troppo precipitoso…al punto da non accorgersi delle incongruenze del carattere del suo futuro sposo. Ci andava riflettendo, purtroppo con ritardo, ma cercava di consolarsi dicendosi che tutte le unioni hanno bisogno di un periodo di rodaggio per poter unificare le abitudini e i ragionamenti, doveva solo aver pazienza ed essere fiduciosa nell’avvenire; da parte sua avrebbe cercato di prodigarsi al meglio affinché suo marito non avesse mai nulla da doverle rimproverare. Con molta buona volontà e fantasia, gli preparava dei buoni pranzetti, valorizzando anche le modeste produzioni campagnole che i suoi genitori non le facevano mai mancare. Lo stesso loro genero, pur non ringraziandoli direttamente, sembrava apprezzare molto le provviste che regolarmente gli giungevano a casa e per non perdere questi vantaggi… economici, cercava di controllare meglio il suo carattere irascibile, contenendo i suoi scatti d’ira verso sua moglie. anche per tema che i genitori ne venissero informati.
Se le sfuriate da parte di Massimo erano diminuite, non erano però cambiate le sue abitudini e la di lui permanenza in casa era sempre rara, ma ad Irene bastava vederlo più calmo perciò credette di essere un po’ più apprezzata e di aver superato il suo tirocinio di moglie in modo favorevole, Da quando non viveva più nell’ansia di venire aggredita con male parole per ogni nonnulla, la sua giovinezza riprese il sopravvento, dandole più forza e sicurezza. I fiori della loggetta erano sbocciati e, con le piantine degli “odori” inondavano di profumi tutta la casa e Irene cantava. Aveva ripreso, quasi inconsciamente, a cantare sia le canzoni in voga che le belle romanze imparate al Castello mentre ricamava il corredo, quasi ultimato e mentre s’ingegnava di abbellire e guarnire, la modesta dimora, con cuscini, centrini e tende vaporose. Si era affezionata a quella piccola casa sotto i tetti e aveva saputo. in breve tempo, renderla più accogliente e nell’occuparsi del suo andamento e di mille dettagli che il suo buon gusto le suggeriva cantava al cielo che era così vicino, ma che da lassù, ne poteva scorgere appena un lembo che la faceva sognare riportandole le sue speranze di non molto tempo addietro.
Augurandosi fervidamente che il suo bel marito le dimostrasse più tenerezza e si accorgesse che la sua ritrosia le veniva dalla timidezza, Sarebbe bastato un po’ d’incoraggiamento e, Irene sarebbe divenuta più espansiva. Possibile che non capisse? La gelosia si fece strada nel suo animo. Pensò che se avesse potuto condividere più tempo con lui forse si sarebbe instaurata una più profonda intesa … chissà? Fino a che non fosse giunto un figlio, avrebbe potuto benissimo trascorrere qualche ora in negozio, oltre a tenerle compagnia, si sarebbe fatta conoscere dalla clientela e lei stessa avrebbe potuto vedere da vicino quelle clienti sconosciute che lei inconsciamente temeva. La giovane donna, convinta che qualcosa poteva modificarsi in meglio attese il ritorno del marito.
Iniziò col dirgli che le avrebbe fatto piacere occuparsi delle vetrine,
fino a ché non avesse preso dimestichezza delle qualità delle stoffe,
dei metraggi e dei prezzi, ma l’improvvisa reazione negativa di lui, la
impaurì al punto che si sentì mancare, impedendole di terminare per
intero la sua proposta di collaborazione:- “Senti senti la signora che
si permette di fare progetti!
Vorrebbe
fare le vetrine, lei!… Ma quelle vanno bene come stanno.
Te
lo dico io, invece, quali sono i tuoi pensieri… vorresti venire a
negozio per perdere tempo a chiacchierare con le mie clienti e farle
restare a ingombrare più del dovuto.
Ma
che brava donna di casa sei !….. Già stufa di fare le faccende?
Mi
sono trovata proprio una brava moglie.”
L’uomo
non la finiva più di commiserarsi e di coprire d’improperi la poverina
che provò a turarsi le orecchie per non ascoltare oltre quelle parole
ingiuriose, mal gliene incolse però perché lui le prese le braccia
torcendogliele con rabbia, mentre continuò: … “ Non vorresti
ascoltare eh?. si vede che dico il vero.
Begli
affari farei, se ti dessi retta!
Non
hai neppure l’assillo di recarti ogni giorno al mercato, che sarebbe una
grossa fatica, oltretutto, mentre invece vorresti venire a oziare fra i
miei piedi !
Il
tuo posto di lavoro è dentro casa e, qui devi stare!
E’
fin troppo il tempo che hai per gingillarti quando te ne stai sola senza
alcun cotrollo… figurarsi!
Credevo
di avertelo già detto che non deve esistere il negozio per te, a quello
basto io, non ho bisogno di nessuno, io,… Che non se ne parli più.”
La
ramanzina piena di offese e di cattiverie, non adatta neppure ad una
inserviente, fece molto male a quella povera moglie che si sentì, ancora
una volta umiliata e disprezzata.
Comprese
benissimo che il suo ruolo di moglie cominciava e finiva sulla soglia di
casa e, nello svolgersi delle giornate a venire, non ci sarebbero state
schiarite. Nulla le sarebbe mai stato concesso, anche i più elementari
diritti avrebbero cozzato contro i divieti di quel dittatore che avrebbe
preteso, al contrario, di essere ossequiato ad ogni istante per il solo
fatto che si era degnato di prenderla in moglie.
La
gretta mentalità di suo marito pretendeva soltanto che ella esplicasse
alla perfezione e senza discutere le mansioni per le quali era
stata
“ assunta “ nel ruolo di moglie e futura madre ed esigeva la
sottomissione, la riconoscenza e la prontezza nell’eseguire gli ordini.
Altro
che passeggiate culturali fra le antiche vestigia di Roma!
Il
destino l’aveva ingannata anche se lei non era mai stata attirata da
esistenze appariscenti, fuori di una normale esistenza domestica, però
Il
condividere felicemente ogni giornata, in simbiosi col proprio partner,
quello si, era ciò che l’avrebbe appagata.
Era
arrivata a pensare che Massimo non desiderasse avere neppure dei figli,
poiché non aveva mai accennato al fatto che dopo parecchi mesi dalle
nozze non si fosse ancora verificata una gravidanza.
Oppure
era proprio il dubbio che sua moglie non fosse in grado di dargli un erede
che lo rendeva così intrattabile e litigioso?
L’infelice
donna cominciò a pregare fervidamente affinché questo suo desiderio si
realizzasse quanto prima… poteva pure essere che un bimbo, avrebbe fatto
ingranare meglio la loro vita familiare.
Ella
si attaccò con tutta l’anima a questo suo dolce desiderio, già
pregustando
la felicità di divenire madre.
Il
bimbo nacque in casa, come era l’uso corrente ed a raccoglierlo fu
chiamata l’anziana levatrice che riscuoteva la fiducia del quartiere e
che
visitando
nei primi mesi di gravidanza la giovane sposa, aveva richiesto la presenza
della di lei madre, al momento del lieto evento.
Renata,
fu pronta a trasferirsi presso sua figlia, al momento opportuno, anche se
durante gli ultimi mesi era venuta a trovarla insieme a suo marito un paio
di volte non trattenendosi più di una giornata.
Ora
però, si organizzò in modo da rimanervi per tutto il tempo necessario e,
finché sua figlia non fosse stata in grado di adattarsi al suo nuovo
ruolo di madre, si sarebbe presa cura del neonato.
Averla
accanto, rese tutto più facile a Irene che fu lieta di sentirsi protetta
e guidata nel periodo del puerperio, il calore dell’affetto materno, pur
confortandola non riusciva a disperdere l’amarezza lasciatale dalle
tante, solitarie, lacrime versate da quando si era sposata.
La
giovane madre sapeva. inoltre, che doveva godere delle sue premure più
che poteva giacché, una volta ripartita, sarebbero riemersi i suoi
assilli e i suoi tormenti nell’incertezza di sapere se l’arrivo del
piccolo Andrea avrebbe reso meno irascibile il suo difficile marito che
non si era addolcito neppure all’annuncio del prossimo arrivo del suo
primo figlio.
Si
era soltanto limitato a commentarlo con delle aride parole: “Credevi non
sapessi che prima o poi doveva nascermi un figlio ? Era tuo dovere
diventare madre!
Dico
solo una cosa…..Vedi che sia maschio… altrimenti !”
L’ultima
esclamazione per la donna rimase un mistero.
Quando
vide, il neonato poi, se ne uscì con una frase che colpì molto nonna
Renata: “ Quanto è brutto! Ma guarda che figlio mi doveva capitare!
Spero proprio che migliori col tempo… ad ogni modo ho deciso di
chiamarlo Andrea!”
La
suocera, abituata alle battute spiritose del suo Guglielmo, capì un
attimo dopo che lui parlava seriamente e ci rimase molto male perché ai
suoi occhi, quel pargoletto, pareva il più bello del mondo.
Ne
prese subito le parti e gli rispose: “ Certo che appena nato, così
rosso e congestionato non può mica andare a un concorso di bellezza, per
lui, venire al mondo, è stata una fatica come quella della sua mamma; ora
dovranno riposare e riprendersi tutti e due e poi, caro genero, vedrà che
splendore diverrà fra qualche tempo.
Questo
signorino, attirerà i baci di noi tutti!
Per
fortuna non vide lo sguardo di traverso che gli rivolse Massimo!
Se
ne accorse Irene però che si sentì stringere il cuore.
Che
accoglienza aveva ricevuto il piccino da suo padre, ne rimase male anche
per la nonna che si andava prodigando in mille faccende, dividendosi fra
mille compiti.
La
puerpera, se la sentiva più vicina ancora la sua mamma,
Di
fronte al miracolo della nascita che si ripete per ogni bimbo che viene
alla luce, ogni donna, acquista la consapevolezza dell’immenso compito a
lei affidato e spera di esserne degna e capace e, solo allora, si
comprende veramente quanto la propria genitrice sia stata grande e
l’unione con lei si cementa ancor di più.
Osservando
i gesti rapidi e sicuri di Renata che stava facendo il primo bagno al
nipotino, Irene si chiedeva se sarebbe stata capace di farle altrettanto
bene quelle operazioni che richiedevano sicurezza e delicatezza.
S’intenerì
nell’ascoltare le buffe e dolcissime espressioni che ella stava
rivolgendo a quel piccino ignaro, come se fosse sicura che lui la capisse
e sorrise pensando che in ogni latitudine ogni mamma e ogni nonna si
esprimono in tal modo verso le tenere creaturine.
Mentre
asciugava le tenere membra indugiò un poco prima di ricoprirlo coi
pannicelli puliti e non poté fare a meno di baciare quei piccoli piedi,
senza fargli violenza e trasfondendo in quei baci tutta la sua tenerezza
… anche questo è nutrimento, prezioso e necessario, per ogni bambino.
Nell’osservare
il suo piccolo, “ strapazzato” dolcemente dalla ancor giovane nonna,
Irene, afferrò il significato inedito e struggente dell’amore materno
che ancora non conosceva e lacrime cocenti le sgorgarono improvvise
ricordando che anche suo padre era stato capace di dare a lei fin da
piccola, lo stesso amore materno.
Ne
sarebbe stato capace, Massimo, nei confronti del loro bambino? Ne
dubitava!
Si
tirò sul volto un lembo di lenzuolo per non far scorgere a sua madre
[*] proprio i ringraziamenti della riconoscente Irene per tutti i
regali che i genitori avevano portati che suscitarono quella critica
malevola, non appena gli ospiti se ne furono andati, ma la moglie se ne
risentì al punto che fu pronta a ribattere: “A me non sembrano svenevolezze come le chiami tu, ma soltanto espressioni di affetto e di
buona educazione.
Tu
non dici neppure un grazie quando ricevi una cortesia, si vede che nessuno
te lo ha mai insegnato! Da beffardo, l’uomo divenne violento e le allungò
un manrovescio colpendola al viso.
Sarebbe
bastata una critica bonaria o un frizzo scherzoso, senza ferocia e tutto
sarebbe finito in una risata ed egli si sarebbe riscattato ai suoi occhi,
invece quel comportamento malevolo e brutale le confermò ancora che egli
non era capace di nessuna commozione.
Non
l’avrebbe mai supposto quando faceva la spola fra Roma e il suo paese
per venirla a trovare allorché erano fidanzati!
Anzi,
quel sacrificio, l’aveva considerato una prova d’amore tantopiù che
lui era solito farglielo rimarcare.
Da
allora pareva fosse passato un secolo!
Aveva
riposto tante speranze nella nascita del piccino e non riusciva a
capacitarsi della indifferenza paterna che non si era scossa neppure un
poco.
Possibile
che non sentisse l’impulso di stringerlo fra le braccia?
Un
groppo le serrava la gola e sua madre, credendola emozionata
e
affranta ancora per la prima traumatica esperienza del parto, le sorrise e
la esortò a riposare tranquilla, rassicurandola che Andrea per il momento
non avrebbe reclamato le sue cure.
Si
sentì ritornare bambina accettando passivamente quelle premure
che
le blandivano l’animo ed anche se sua madre era di carattere meno
espansiva del babbo, sapeva al momento opportuno, prodigarsi in mille modi
per coloro che amava.
Perché
solo il cuore del suo uomo era sempre di ghiaccio?
Ricominciò
a pensare che ci volesse del tempo perché in lui germogliasse l’amore
paterno e sperò che ciò accadesse prima che il piccolo si accorgesse
della sua freddezza.
Tutto
l’opposto per nonno Guglielmo che già stravedeva per il nipotino e,
trascurando persino le sue attività, si ritenne in dovere di fare la sua
visita giornaliera e prendendosi passivamente i dolci rimproveri delle sue
“donnine” che non accettavano di vederlo sobbarcarsi alla fatica del
lungo viaggio in carrozza e di tutte le scale da salire e scendere pur di
dare un bacetto al neonato che, inutile dire, egli trovava bellissimo.
Con
la usuale bonomia egli era pronto a ribattere : “ Di quali strapazzi
parlate? Io, come nonno, ho il dovere di rendermi conto che a mio nipote
non manchi nulla, che sia ben accudito e soprattutto che, voi donne, non
lo viziate troppo, perciò la mia presenza giornaliera è più che
necessaria. “
Tenere
parole, ma oltre l’affetto che sentiva per i suoi cari, la ragione
primaria che lo faceva partire da casa appena albeggiava, era il fatto di
sentirsi solo e lontano quindi preferiva stare vicino al suo bel
“cucciolotto” che se la dormiva beato nella culla ornata di trine che
le abili mani di sua figlia aveva ricamato.
Quest’ultima
non poteva sottrarsi al confronto fra i due padri.
La
diversità fra i due uomini si evidenziava in ogni loro atteggiamento ed
ella con rammarico dovette riconoscere che non esiste felicità più
grande e completa di quella di una famiglia affiatata e unita; questa sola
è la base certa che fa affrontare in modo positivo tutte le difficoltà
che possono sorgere lungo il percorso della vita.
Specialmente
l’amore e la dedizione che due genitori uniti sanno dare ai propri
figli, senza chiedere nulla in cambio, sarà l’esempio su cui si
forgeranno.
Ma
l’amore per la prole è davvero nella stessa misura in tutti gli esseri
viventi?
Lo
si vede anche negli animali e spesso si verificano dei fatti che ne danno
conferma anche se non mancano episodi di cannibalismo o di rifiuto che ne
fanno dubitare.
Nella
mente d’Irene si accavallavano queste domande e, analizzando il
comportamento di Massimo, cominciava a pensare che,lui, fosse un essere
anomalo con fondamenti e sistemi tutti suoi.
Sarebbe
ritornata su tali riflessioni nel corso degli anni, quando più
consapevole e distaccata, avrebbe capito che in alcuni esseri convivono
sentimenti atavici ed inconsci che scomponendosi e riproponendosi nella
alternanza delle generazioni si esprimono e si evidenziano in difetti e
virtù che tramite i geni ereditari tornano a formare i caratteri.
Nulla
può cambiare la catena genetica tranne la manipolazione di laboratorio
che si paventa debba avvenire al solo scopo di sovvertire la natura
originaria e se è già difficile arginare cattive tendenze o modificare
Impulsi
innaturali che conducono a delitti inspiegabili, come mai si potranno
prevedere e curare organi e cervelli sconosciuti perché creati
scientificamente?
Già
così, il modo di vivere di Massimo. dava molto da pensare alla povera
moglie :
Lo
vedeva uscire da casa indifferente al traffico insolito che vi regnava per
tornarvi la sera tardi, mangiava i suoi pasti, andava a dormire sul divano
della camera da pranzo, perché aveva preferito che fosse la suocera a
dividere il letto con sua moglie per essere più vicina alla culla, ma
tutto era compiuto senza slanci e senza commenti.
Abituati
ai suoi mutismi nessuno lo contrariava, ma per la moglie e per il figlio
mai una tenerezza.
Irene
però capiva che lui mordeva il freno ed era mortificata che i suoi
vedessero il suo comportamento per nulla affettuoso.
Lo
attribuivano forse a preoccupazioni di lavoro o alla loro presenza che si
stava troppo prolungando.
Irene
aveva escogitato varie tattiche di comportamento per far si che suo marito
la rispettasse, ma né con la calma olimpica, né con l’indifferenza più
completa, tantomeno con l’apparente comprensione e ancor peggio col
sarcasmo che riusciva a renderlo più furioso ancora, non era mai riuscita
a modificare minimamente i suoi codici maschilisti, irriflessivi e ben
radicati.
Solo
a distanza di anni e, dopo tanto patire, ella riuscì a comprendere, in
parte, quella contorta personalità che pensava d’imporsi agli altri con
la sua forza aggressiva e le parole malevole.
In
particolar modo colei, che considerava una schiava, doveva sentire
incessantemente il suo pugno di ferro per non dimenticare che lui solo
poteva disporre come voleva delle sue azioni.
Presumibilmente
era il senso d’inferiorità che inconsciamente sentiva e che non
accettava, di fronte a quella “ paesanella “ come soleva chiamarla;
non le perdonava che riuscisse a svolgere il suo ruolo di subalterna con
intelligenza e signorilità prevenendo e parando le sue cattiverie, quasi
che leggesse i suoi pensieri.
Se,
come spesso succede, il sentimento che unisce due esseri è formato di
amore e odio, in alternanza, quello che dimostrava Massimo era soltanto il
secondo e allora?…Dov’era finito quel barlume di affetto iniziale che
pure ci doveva essere stato quando si era fatto avanti ?
Non
riusciva a persuadersi, l’afflitta sposa, che solo il tornaconto
avesse
spinto l’uomo a metter su famiglia.
Si
era ingelosita al pensiero che avesse un amore segreto e per questo le
aveva precluso l’accesso al negozio, ma dopo lunghe riflessioni, era
giunta alla determinazione che in suo marito non albergavano i buoni
sentimenti, era incapace di amare e di dare amicizia.
Portato
solamente a fare denaro, ma solo per il piacere del possesso perché non
era mai capitato che egli avesse largheggiato nelle spese necessarie
all’andamento famigliare, delle quali si occupava personalmente cosicché
la moglie era tenuta all’oscuro di entrate e uscite.
Di
questo fatto si vantava perfino coi suoceri : “ Vostra figlia non ha
pensieri… li lascia tutti a questo povero marito che oltre che al lavoro
deve avere sulle spalle anche queste responsabilità! “
Irene
si rimproverava di non essersi ribellata subito alle sue imposizioni, ma
era stata fiduciosa che le cose si sarebbero modificate col passare del
tempo.
Massimo
poteva pure essere motivato dal credere che lei non conoscendo ancora bene
Roma, non avesse saputo ben destreggiarvisi da sola, ma se mai gliene dava
l’opportunità di dimostrargli il contrario, sarebbe rimasto sempre con
quell’idea.
Dopo
la nascita di Andrea, nulla era cambiato e lei continuava a soffrire per
quella clausura impostale con dei ragionamenti che non reggevano più e
avrebbe avuta voglia di rintuzzare le solite argomentazioni che la
facevano sentire una nullità: “Meglio che tu non esca da sola per la
città che non conosci… io non starei tranquillo in negozio… usciremo
insieme quando avrò un po’ di tempo da perdere!”
Comprese
la sua grettezza, quando sprangò anche le persiane col pretesto che non
voleva mostrare l’interno della sua casa a dirimpettai curiosi … ma la
loro casa non aveva dirimpettai particolarmente impiccioni…perlomeno
lei, non se ne era mai accorta.
Tutte
scuse sciocche che lei si era stancata di ribattere, visto che il
risultato era sempre quello di venire insultata.
Per
il suo carattere adattabile e comprensivo non conosceva la ribellione,
sapeva solo che ai mariti si deve obbedienza e,lui, avrebbe finalmente
capito che non era quello il modo di trattare una moglie.
Nessuno
si peritava, a quel tempo, di dare il giusto valore alla differenza di
educazione, di cultura, di sensibilità che poteva esserci fra due partner
che s’incontravano, s’innamoravano e decidevano di sposarsi, ma che
non avevano la possibilità di frequentarsi per approfondire le loro
affinità o meno che dovrebbero essere chiarite profondamente perché su
quelle basi si forgerà una perfetta unione.
I
fidanzati erano guardati a vista fino al momento del fatidico “si” dai
genitori che speravano nel loro futuro buonsenso per appianare le
probabili divergenze e tutti sapevano che doveva essere poi la moglie a
fare quello che voleva il coniuge: questa era l’usanza e nella pratica,
accadeva, che l’appartenente al cosidetto “ sesso debole”, per
ironia della sorte, doveva sempre trovare la sorte per adeguarsi alle
sorprese future.
Le
poche donne che, per circostanze favorevoli, ritrovavano sia
l’equilibrio che la …libertà, venivano messe al bando della società
che le bollavano come donne indegne ed esempi da non copiare.
Massimo
se ne stava quieto soltanto quando vedeva faticare sua moglie più del
dovuto e alcune volte, la povera donna, era visibilmente stremata,
specialmente da quando era nata Aurora, a circa tre anni di distanza da
Andrea.
Come
la prima volta, nonna Renata si era trattenuta fino a che sua figlia non
era stata in grado di riprendere le redini della casa, ma certamente il
lavoro si era raddoppiato per la giovane madre e il marito sembrava non
accorgersene ; mai che la invitasse a prendersi un po’ di riposo o a
proporle una servetta.
Anche
per i bambini non c’era mai uno svago o una passeggiata all’aria
aperta!
Eppure
egli avrebbe avuto la possibilità di condurre seco la famiglia in calesse
quando si recava a consegnare la sua merce ai suoi clienti dei Castelli
romani, sarebbe stata l’occasione per far divertire i piccoli.
Invece
lui ne approfittava per andare a caccia e passare delle ore senza
pensieri.
Bisogna
riconoscere che questi suoi viaggetti permettevano anche ai suoi, liberati
della sua oppressiva presenza, di trascorrere delle giornate migliori
poiché la mamma preparava qualche piccolo dolce casalingo che rendeva
felici i ragazzini ed inoltre organizzavano insieme dei lavori in…grande
ove tutti si sentivano utili.
Quante
volte, con la complicità di nonno Guglielmo che li riforniva per tempo
dei materiali occorrenti, avevano ridato il fresco alla cucina o avevano
rinnovato la terra dei vasi proprio in quelle lunghe giornate che
sarebbero state oziose se l’accorta madre non le avesse riempite di
giuochi e…lavori.
Lavorando,
invece, allegramente come per giuoco, nessuno sentiva la mancanza di svago
esterno.
I
giuochi/ lavori che la fantasiosa Irene escogitava, erano i più vari:
quadretti di collages fatti coi più disparati materiali posti con senso
artistico che diventavano paesaggi, animali o fiori e che li rendevano
felici, stupefatti loro stessi dei bellissimi risultati.
Facevano
tutto in economia, utilizzando le cose inutili.
Persino
sfilando il cordame degl’imballi delle partite di stoffe e, lavorando di
uncinetto avevano creati sottopiatti e cestini e i figli, pensavano che
per la loro madre non esisteva nulla che non si potesse fare..
La
madre stessa ridiventava bambina coi suoi bimbi che si erano abituati a
divertirsi con poco e il tempo passava e, dopo sette anni di matrimonio,
Irene si ritrovò in attesa di un altro figlio.
Mentre
Aurora era bruna e robusta, somigliantissima al fratello più grande,
Alfio apparve subito più delicato e mingherlino - a causa della debolezza
materna - disse la solita ostetrica, dall’alto della sua esperienza che
aveva aveva più volte messa in guardia la signora Irene durante la
gestazione,
L’aveva
detto anche al marito che l’ultima gravidanza e il gravoso lavoro
domestico la stavano esaurendo e che bisognava provvedere per tempo,
affiancandole una collaboratrice, almeno per sottrarla ai lavori più
pesanti.
Ma
lui fece finta di non sentire…” perché una vera una madre di famiglia
deve saper fronteggiare da sola ogni evenienza !”
Fortunatamente
anche in questa occasione la madre le venne in aiuto seppure soltanto per
un breve periodo giacché anch’ella trepidava per la salute del suo
Guglielmo che aveva accusato qualche malessere al cuore e che non poteva
lasciare solo troppo a lungo.
Anche
a distanza di anni, Irene ritrovava fra i suoi genitori lo stesso,
premuroso affetto che li aveva sempre legati.
Quanta
differenza di comportamento di suo padre per la sua sposa alla quale
imponeva il riposo quando la vedeva troppo indaffarata; le risuonavano
agli orecchi le parole che era solito indirizzare alla sua iperattiva metà:
“ Devi riposarti assolutamente… lascia perdere tutti i tuoi lavori che
non sono necessari quanto la tua salute, nessuno ti rimprovera se qualcosa
non sta in ordine! Le donne non debbono divenire le schiave dei loro
cari!”.
In
queste sue espressioni, egli includeva anche la loro giovane figlia,
sempre pronta ad aiutare quella madre tanto brava e infaticabile.
Ripensandoci
a distanza di anni, Irene si rallegrava per avere imparato da lei tante
cose perché con Massimo sempre scontento, non si sa cosa sarebbe accaduto
se fosse stata un’inetta?
Se
lo era chiesto spesso l’infelice donna!
L’ultimo
parto non era stato facile e la spossatezza del suo fisico per.sisteva,
anche il latte era scarso e il suo cuore tremava al pensiero della
probabile cattiva reazione di suo marito.
Questo
stato di cose la condusse ad uno stato ansioso, per un nonnulla sussultava
e, una sorta di fobìa, la teneva sveglia anche la notte; scrutava e
soppesava continuamente il neonato perché le pareva di non nutrirlo a
sufficienza con il suo scarso latte.
La
forza d’animo che l’aveva sempre sostenuta, sembrava verla abbandonata
e non riusciva più a prevenire gli scatti nervosi di suo marito che più
di una volta aveva reagito all’allegria esuberante di Andrea e Aurora,
scagliando loro il primo oggetto che gli era capitato tra le mani.
Pur
se avevano scampato il peggio, i due ragazzini, oltre la paura, ne
portavano ancora i segni.
Per
la loro madre non c’era più pace!
Quando
li perdeva d’occhio, perché occupata con Alfio, se c’era in casa
Massimo, prevedeva sempre il peggio e si sentiva il cuore in gola questo
non giovava al nutrimento del piccolo che da quel latte agitato ricavava
dolori al pancino che non lo facevano riposare tranquillo.
La
conseguenza più grave era che la notte non faceva che piangere
disturbando Massimo che cominciava a inveire verso madre e figlio,
giungendo a cacciarli entrambi dalla stanza da letto perché non voleva
privarsi del “suo diritto” al sonno.
Così,
la sconsolata Irene, era costretta ad attendere il giorno, seduta in
cucina col bimbo in seno avvolto in una coperta.
Al
momento di uscire, l’energumeno, la.tacitava dicendo: “ Tanto tu stai
a casa, non sei costretta ad andare a lavorare, potrai dormire stamattina!
Egli non si rendeva affatto conto che, a lei, per tutta la giornata
sarebbe stato impossibile riposare.
Irene,
senza rendersene conto, stava assumendo il ruolo, non invidiabile, di
“Vittima” di quel ” Tiranno” che spadroneggiava a suo piacere.
Il
profumo delle erbe odorose, coltivate sulla loggia si spargeva per
l’aria e riempiva la cucina e ne ossigenava persino il fumo dei
comignoli sui tetti all’intorno.
Da
quell’ultimo piano, si vedevano tutti con un colpo d’occhio, quei
tetti spioventi, ove le rondini facevano il nido e Irene ne godeva la
vista dal suo padiglione fiorito che la riparava da ogni sguardo; nei
momenti che lo poteva concedersi qualche intervallo, lo considerava il suo
riposo che, se non per le membra, lo era sicuramente per l’anima perché
ne ricavava beneficio e ristoro e per la mente che s’incanalava verso
pensieri ameni e solari.
I
rampicanti di rose a mazzetti e di gelsomino ingentilivano quel piccolo
spiazzo che poteva dirsi un prolungamento aperto della cucina che usavano
anche i piccoli per i loro giuochi, mentre lei li sorvegliava dai fornelli
mentre preparava i suoi saporiti pranzetti.
Aveva
dovuto sospendere la stesura del” Dizionario delle Erbe” che era
rimasto a metà, come lo erano rimasti i suoi sogni di fanciulla.
La
minuscola oasi diventava tutta sua nelle prime ore del mattino quando il
sole sorgendo la indorava e le rondini garrivano felici nel cielo
salutando il nuovo giorno.
Per
abitudine,Irene, era mattiniera e, mentre ancora tutti erano immersi nel
sonno, lei era già li a godersi i suoi fiori, innaffiandoli ed a spiarne
la crescita e, al tempo delle rondini, sembrava che anch’esse si dessero
convegno nel piccolo lembo di cielo che la sovrastava per fare festa solo
a lei, rondine senza ali.
Il
loro canto di libertà era un inno alla vita e, le faceva piacere pensare,
che alcune di esse la riconoscevano per loro benefattrice, perché all’
interno della loggia, trovavano miglio e molliche di pane che,
all’insaputa di tutti, la giovane donna spargeva, pronta a ripulire ben
presto il mattonato allorché i pennuti avevano esaurito il
loro…rifornimento
Se
ne stava immobile, per non spaventarle, addossata allo stipite della
portafinestra, gioendo di quella parentesi mattutina, in cui parlava loro,
augurandosi che il cibo che avevano prelevato e che conservavano nel becco
giungesse ai loro rondinotti ancora implumi che le attendevano fiduciosi
nei nidi.
Come
doveva essere bellla la vita libera degli uccelli!
Le
sentiva amiche le rondinelle che, fedelmente, ritornavano a primavera; ne
individuava i nidi sotto le tegole da dove le vedeva uscire al mattino e
dopo vari andirivieni, vi si rintanavano a sera ebbre di voli, di aria e
di libertà.
Anche
in Sabina aveva amato quei voli di rondini attorno alla sua casa e aveva
sofferto nel leggere, una volta, sul quotidiano di Roma,“ Il
Messaggero” al quale era abbonato suo padre, il resoconto di una impresa
sadica compiuta ai loro danni da un gruppo di cacciatori di giovane età
che, per scommessa, avevano raggiunto il raccapricciante record,
dell’uccisione in volo di ben 2186, povere rondinelle.
segue
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