I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZOSTORICO
in tre parti

PRIMA PARTE
(4) 

 

 

L’impatto con Roma fu per Irene una cosa sconvolgente!

 Subito i primi giorni, il marito, si sentì di assumersi il compito di accompagnarla a visitare i punti più noti e caratteristici anche per tenere fede ai patti fatti con la suocera che si era raccomandata di accontentarla per non farla sentire troppo estranea nella città che non conosceva.

 Nei pomeriggi della prima settimana Irene, fu ben felice di girare per le strade della capitale a bordo di una “botticella”, la caratteristica carrozza romana conosciuta dai turisti di tutto il mondo e dove la sposina si trovò subito a proprio agio perché le parve quasi di essere nel carrozzino di suo padre.

 Massimo accanto a lei con aria di superiorità, che le veniva dall’essere nativo di Roma, indicava al vetturino i vari luoghi da visitare, ove poi lo stesso conducente finiva per fare da Cicerone, sorpreso a volte di constatare che la giovane signora conosceva la storia di chiese, piazze ed altre bellezze, meglio di loro nativi del posto.

 Aveva ben capito che era la prima volta che ella si trovava a Roma, ma sorpreso dal fatto che il marito non tralasciasse una volta di schernirla per quelle sue spontanee e ingenue espressioni di entusiasmo che, come quelle di una bambina, esplodevano improvvise e irrefrenabili

 I motti grossolani e prosaici del compagno infastidivano la giovane sposa perché avevano il potere di zittire i suoi entusiasmi e suscitare i sorrisetti ironici del vetturino;

 Ella rifletteva, intanto, alle puerilità del suo imprevedibile marito che la deludeva molto poiché gli stavano rivelando la pochezza della sua personalità.

 L’esplorazione di Roma si era racchiusa tutta in quelle rapide scorribande in carrozza e Irene si riprometteva di ritornare con più calma in ognuno di quei luoghi visti così di sfuggita e superficialmente.

 Pensava di poterlo fare anche durante le uscite per la spesa quotidiana, al mattino presto, magari nell’accompagnare suo marito al negozio.

 Purtroppo questo suo desiderio dovette essere accantonato per volere di Massimo che non le permise di uscire da sola, promettendole però che

l’avrebbe accompagnata lui stesso non appena avesse potuto sottrarsi ai suoi impegni di lavoro, forse nei giorni festivi.

 Rintuzzando il dispiacere, si accontentò di ripassare con la mente le stupende visioni di Roma: rivisse il tuffo al cuore provato allorché, uscendo dal dedalo dei Borghi, si era trovata d’improvviso di fronte alla maestosa Basilica di S. Pietro. Per quanto ne conoscesse la storia e la struttura, le apparve ancor più possente.

 Ritornò al momento in cui, scesa di carrozza, s’ingegnò a ricercare quel punto preciso, di cui le aveva parlato suo padre, da dove le file del colonnato della piazza, apparivano come se fosse un solo giro di colonne, la scoperta la rese gioiosa al punto che giunse le mani quasi a ringraziarne il cielo.

 Era pervasa di felicità percorrendo le strade cariche di storia!

 Dall’alto della scalinata di Trinità dei Monti, le sembrò di abbracciare

tutti i tetti circostanti e, incurante del sarcasmo e l’ironia che le sue azioni suscitavano nei suoi accompagnatori, volle scendere dal legno per rincorrere la miriade di colombi che la circondavano.

 Assorbì in pieno l’incanto della Capitale più famosa del mondo!

 Ne ritenne un bagaglio ineguagliabile di sentimenti nuovi ed appaganti e per questo fu disposta a dimenticare le battute salaci e mortificanti del marito, al quale doveva riconoscenza perché, sposandola, le consentiva di divenire cittadina della città che tanto amava.

Roma, accanto alle sue splendide bellezze, mostrava anche dei Rioni molto poveri e malsani a causa dei territori incolti ed a marrane stagnanti e maleodoranti che dividevano gli agglomerati abitati che, per la vicinanza, di detti luoghi erano infestati da ratti e insetti parassiti.

 Non ancora provviste di acqua e luce, molte case di allora non erano certo invitanti per il poco spazio e nessuna comodità, cosicché chi le abitava era invogliato a starsene il più possibile all’aperto, seduto fuori dei portoni o ai bordi delle fontane e all’aperto svolgeva i suoi lavori quotidiani sotto gli occhi di tutti e il suo orologio era la luce solare.

 Naturalmente i prati incustoditi e le marrane erano le mete preferite dei ragazzi ove sfogavano la loro esuberanza chiassosa fra scherzi e giuochi più o meno pericolosi, trascorrendovi un’infanzia spensierata e analfabeta, fino a quando venivano assorbiti, come mano d’opera sfruttata al massimo dai Mastri artigiani che però gli avrebbero trasmesso la capacità di un lavoro valido per il loro avvenire. Il più delle volte erano le famiglie a pagare l’artigiano alfine di assicurare ai figli, l’insegnamento di un mestiere. 

 In quegli anni, la città dei Papi stava subendo radicali trasformazioni architettoniche per aderire al “Piano Regolatore “ sancito nel 1883 e, specialmente al centro,vennero sacrificati svariati monumenti e ambienti classici, per consentire l’allargamento dei Rioni, da Via Nazionale al Ghetto ebreo, dal Tritone al Tevere, dall’ Esquilino ai Prati di Castello.

 

L’intensa attività dell’edilizia privata, costruì, lungo le arterie principali, i grandi e solidi palazzi grigi che, nel tempo, avrebbero denotata l’epoca Umbertina.

 Nuova storia da sommare a quella del passato glorioso, testimoniato dagli archi di trionfo, dalle fontane e dalle basiliche che furono grandi opere dell’ arte e dell’ingegno ben datate e d’inestimabile valore culturale e religioso, commissionate per lo più dai Papi, mecenati dei più grandi artisti.

 I più recenti alloggi plurifamiliari, erano una caratteristica dei primi nuclei urbani e rispettavano il sistema edilizio romano, conseguente all’editto di Augusto che limitava l’altezza dei palazzi a sessanta piedi, corrispondenti a venti metri oltre i negozi di vendita e alle botteghe artigianali.

 Questi palazzotti non andavano oltre i quattro piani e vi si accedeva per delle scalinate strette,ripide e buie.

 Sorti però senza un preciso criterio urbanistico armonioso, erano addossati l’uno all’altro e divisi da stradine come budelli., costringrvano chi li occupava ad una sorta di vita promiscua che opprimeva.

 Anche l’infanzia di Massimo si era uniformata allo stesso modo e, tranne quando doveva accompagnare il padre fuori città alle varie fiere, passava delle ore a bighellonare fra sterpaglie sassi dando la caccia alle lucertole e contando le formiche, ma sempre da solo poiché non legava con nessuno dei suoi coetanei ; pensoso e rabbuiato, sembrava avercela sempre con tutti non accettando alcuna battuta scherzosa,che piuttosto, veniva presa al contrario a causa della sua permalosità.

Prendendo in affitto l’appartamentino, il capofamiglia aveva fatto un salto di qualità giacché proveniva dal misero “basso” di Borgo vecchio” che sua madre aveva anche adibito a luogo di vendita delle sue tele da corredo, sciorinando la sua merce sull’angusto banchetto messo di traverso all’uscio per impedire agli estranei l’accesso nell’interno della casa.

 La vecchia mercante vi aveva trascorso gran parte della sua esistenza e né lei né il figlio si erano mai curati di procurarsi un alloggio più comodo, neppure quando quest’ultimo aveva aperto il negozio nella strada più importante di Roma.

 Per parecchio tempo, Massimo aveva continuato ad abitarvi e soltanto in vista delle nozze, si era convinto che necessitava di una casa più adeguata alle sue nuove necessità; tantopiù che lui voleva emergere ed essere considerato al disopra dei suoi effettivi meriti.

 Irene, soggiogata fino in fondo all’animo da tanto godimento spirituale, non fu in grado di mettere a fuoco per intero l’impostazione che il suo uomo stava dando alla loro vita coniugale, né fu sfiorata minimamente che le idee, la diversa educazione e, soprattutto, i diversi punti di vista che stavano venendo a galla, le avrebbero arrecato tali amarezze e delusioni, da sconvolgerle il resto della vita.

 La coppia era agli antipodi in tutto e toccava sempre alla donna assoggettarsi ai voleri imposti dal “maschio” sia per parare le di lui sfuriate aggressive del dovute al caratteraccio che andava svelando, sia perché, sinceramente innamorata, voleva farlo contento.

 Si lasciò assorbire completamente dai lavori che la casa nuova richiedeva, c’era tanto da fare infatti che le giornate scorrevano veloci e piene di lavoro che, distraendola, l’allontanavano da pensieri più profondi,

 Il loro alloggio in affitto, non distava molto dalla bottega e neppure dalla stalla e Massimo l’aveva scelto principalmente per questi motivi giacché le sue giornate erano divise fra questi due luoghi.

 La casa, non molto grande, era arredata modestamente, ma conteneva l’indispensabile senza nulla di superfluo, da queste scelte,dovute al capofamiglia, si sarebbe già potuto arguire la sua ristretta mentalità.

 Situata all’ultimo piano, era isolata alquanto dagli altri appartamenti e questo non avrebbe facilitato i rapporti di vicinato… un’altra scelta voluta da Massimo che conosceva perfettamente l’andazzo consueto delle “comunelle” fra coinquilini che finivano per tenere gli usci di casa sempre aperti ed ognuno sapeva ogni fatto intimo dell’altro.

 Nelle case popolari era consuetudine vivere come in un piccolo paese, dove tutti si conoscono, si scambiano favori e opinioni e ove non mancano poi i relativi pettegolezzi e inevitabili litigi.

A Massimo non garbava tutto questo e quindi era meglio evitarlo fin da subito e così, la casa di via degli Schiavoni, a un passo dal Corso Umberto e dal Porto di Ripetta, doveva essere, per la sua famiglia, come una piccola isola solitaria e senza contatti; la finestra della camera da letto si affacciava sulla via stretta e lunga, delimitata dalla parte del Tevere dalle due chiese antiche e,dalla parte opposta, da una minuscola piazza dove non era possibile sostare a lungo perché, quella doveva essere soltanto una strada di scorrimento per i carretti che, nei due sensi, la percorrevano notte e giorno, per trasportare le merci che si scaricavano nel Porto.

 Fortunatamente casa Sarducci era dotata di una minuscola loggia ove una lama di sole riusciva ad illuminarla ogni mattina.

 Quel piccolo spazio al disopra dei tetti aveva reso felice la sposa e in,cuor suo, già si vedeva alle prese con vasi, terra bulbi e sementi, così da far divenire quel piccolo vano un surrogato del giardino che aveva lasciato nella casa paterna.

 Si sarebbe rivolta a suo padre per avere l’occorrente e,lui, sarebbe stato lieto di accontentarla.

La conferma la ebbe alla prima visita che il signor Guglielmo le fece. Per la verità, suo padre fu un po’ contrariato nel contare tutti gli scalini che aveva dovuto affrontare per poter riabbracciare sua figlia, ma non commentò più di tanto questo fatto, quello che notò mentalmente fu però il tono più che modesto di tutta la casa che non aveva nessuna comodità e nessuna civetteria, quale ci si sarebbe aspettati di trovare in un nido di novelli e facoltosi sposi. Con tutti i misteri che il marito di sua figlia aveva fatto attorno a quella nuova abitazione, c’era d’aspettarsi che avesse arredata una Reggia. Il risultato, invece, era men che mediocre! Papà Guglielmo, a distanza di soli due mesi dal giorno delle nozze, notò in sua figlia molti cambiamenti, soprattutto il suo pallore… Sapendo che il marito non l’avrebbe fatta lavorare nel negozio e non le concedeva di uscire da sola, la povera ragazza, era destinata a morire d’inedia, tutta sola e al chiuso. Abituata com’era a stare sempre all’aria aperta, la sua salute ne avrebbe sicuramente risentito. Se ne ritornò a Farfa molto impensierito, rimproverandosi di avere acconsentito a quelle nozze con troppa facilità: L’aspetto sano di quel giovanotto e il suo fare sicuro l’avevano ingannato, non gli era venuto neppure in mente che egli avesse potuto mettere in atto una commedia, non ne vedeva i motivi. Sua figlia, del resto, non si era lamentata di nulla, infervorata com’era a chiedere notizie della mamma e della contessa e a fare l’elenco di tutte le cose che gli avrebbe dovuto portare alla prossima sua visita perchè ella era impaziente di riempire la sua loggia di piante e fiori. Durante il breve viaggio di ritorno il buonuomo ebbe tempo per mettere a fuoco molte cose che gli erano apparse strane nel menage degli sposi e che lo lasciavano molto dubbioso. Esternò i suoi timori alla moglie, ma la candida sua metà si affrettò a rassicurarlo: “non ti crucciare per cose inesistenti, mio caro, succede a utte le sposine di spallidire e perdere peso, mentre gli uomini, invece, ingrassano nei primi tempi ! “ Guglielmo non volle contraddire sua moglie, ma rimase coi suoi tristi pensieri e si ripromise di far visita a sua figlia più spesso, facendosi premura di non farle mancare i buoni prodotti genuini della campagna che, sicuramente, avrebbero fatto ritornare il colorito sul volto d’Irene. Questa intanto, giorno dopo giorno, si stava accorgendo dei lati negativi di colui che aveva sposato con tanta fiducia. Egli si tratteneva in casa lo stretto necessario e fra il negozio, gli acquisti e le consegne di merce, non aveva mai tempo per dedicarsi a sua moglie. A lui bastava trovare la casa in ordine, i pasti pronti e la biancheria lavata e stirata, si capiva benissimo che questi erano i soli motivi per cui l’aveva sposata; nella sua ingenuità, attribuiva a se stessa il risultato poco entusiasmante della loro unione e pensava che suo marito si fosse pentito del passo fatto. Confrontandola forse con tutte le sue clienti, certamente la sua moglie campagnola usciva perdente…questa poteva essere la ragione della freddezza nei suoi riguardi...anche perché lo sottolineava spesso, mortificandola e allungandole pure qualche schiaffo se non era sollecita adesaudire qualcuna delle sue richieste.
 Veniva trattata sgarbatamente, come qualcuno faceva con le serve negligenti. Ella che si sforzava di compiere ogni lavoro nel miglior modo possibile e con tanto amore e non riusciva a capacitarsi delle sue violenze; aveva l’impressione che era contento solamente nel vederla umiliata e confusa. Costretta a subire le sue ingiustizie, si sentiva preda della malasorte e non trovava nessun motivo di conforto per risollevarsi lo spirito depresso. Non poteva neppure farne partecipi i genitori così lontani e distanti col pensiero da ciò che le stava accadendo; non glielo avrebbe neppure detto, se avesse potuto, per non rattristarli. Come raccontare loro che il genero non era il gentiluomo che essi avevano creduto? Perché mettere nel loro animo una spina dolorosa facendogli conoscere la tristezza del suo vivere?  E l’accoramento delle sue lacrime solitarie ? L’ostracismo di Massimo era iniziato fin dalla prima notte….della quale si era sentito defraudato a causa della sua indisposizione fisiologicae stava ancora punendola, quasi ne avesse avuta lei la colpa, senza considerare l’angoscia e la vergogna da lei provata in quella situazione; eppure, dopo la cerimonia religiosa, all’accenno di sua madre sull’argomento, aveva detto esplicitamente di essere uomo di mondo e che era suo dovere prendersi cura della giovane sposa, adattandosi alla circostanza improvvisa.
 Tutte bugie quelle! L’aveva schifata come cosa immonda e anzi gli aveva fatto capire che per lui era come avesse avuto accanto una donna impura che portava male, allora non capì se parlava per cattiveria o per superstizione, sotto gl’influssi di pregiudizi atavici che ritenevano maledetta la donna mestruata, ma se ancora dopo mesi ci ritornava sopra facendogliene colpa, c’era da pensare che il suo cervello andava soggetto a fobie. Irene vedendosi respinta con tali accuse non poté fare a meno di piangere e questo accrebbe la di lui acredine. Da subito la sposina capì che con suo marito sarebbe stato meglio adottare il silenzio, almeno non gli avrebbe dato appigli per cominciare a litigare; poiché sembrava che questo cercava.  L’adottare il silenzio, fu una grande forzatura sul suo carattere chiaro e sincero, quel dovere sempre inghiottire e serrare le labbra per non rispondere ai rimproveri immeritati la faceva star male. Cominciò a perdere l’appetito e il sonno, divenendo anche gelosa per le tante ore che lui passava fuori casa. Questi i motivi che mostrarono a suo padre quel viso smunto che tanto lo impensierì. Ad ogni modo Guglielmo, si fece un dovere di andare a visitare sua figlia una volta al mese e fu un bene giacché i suoi rifornimenti fatti di buoni sapori dei sani prodotti casalinghi di sua madre, riuscirono pian piano a vincere l’anoressia nervosa della giovane donna. Soprattutto però furono le visite periodiche del suo amato papà che la riempivano di gioia ridonandole l’amore per la vita che la spronarono ad interessarsi di nuovo dei suoi appunti di erboristeria, imponendosi di dedicarvi un’ora al giorno, dopo aver sbrigato le sue faccende. Riprese i suoi quaderni e per ordine alfabetico s’ingegnò di riportarvi, con la sua scrittura semplice e chiara tutte le annotazioni che aveva raggruppate in tanti foglietti mentre vedeva sua madre che preparava con mani esperte tisane, decotti e sciroppi per quanti gliene richiedevano.  Anch’essa aveva imparate molte cose nell’aiutarla, ma ora se non ci si applicava coscienziosamente, avrebbe dimenticato tutto e, siccome Irene non aveva clienti, come Renata, per erudirsi avrebbe soltanto dovuto studiare. Fu ancora suo padre ad aiutarla in questo progetto che avrebbe riempito la sua solitudine. Giunse così, inaspettato e graditissimo, l’abbonamento alla Scienza del popolo, mensile medico che le sarebbe giunto puntualmente da Milano, del pari ricevette piantine e sementi per le sue piccole coltivazioni casalinghe e, sempre ad opera di suo padre si ebbe vasi e terra per metterle a dimora. Si sentì rinascere l’infelice sposina e ben presto il suo piccolo angolo verde divenne un’oasi profumata. Vi si appartava contenta quando aggiornava i suoi quaderni e quando riprese a ricamare il suo corredo, lasciato a metà a causa del suo legame troppo precipitoso…al punto da non accorgersi delle incongruenze del carattere del suo futuro sposo.  Ci andava riflettendo, purtroppo con ritardo, ma cercava di consolarsi dicendosi che tutte le unioni hanno bisogno di un periodo di rodaggio per poter unificare le abitudini e i ragionamenti, doveva solo aver pazienza ed essere fiduciosa nell’avvenire; da parte sua avrebbe cercato di prodigarsi al meglio affinché suo marito non avesse mai nulla da doverle rimproverare. Con molta buona volontà e fantasia, gli preparava dei buoni pranzetti, valorizzando anche le modeste produzioni campagnole che i suoi genitori non le facevano mai mancare. Lo stesso loro genero, pur non ringraziandoli direttamente, sembrava apprezzare molto le provviste che regolarmente gli giungevano a casa e per non perdere questi vantaggi… economici, cercava di controllare meglio il suo carattere irascibile, contenendo i suoi scatti d’ira verso sua moglie. anche per tema che i genitori ne venissero informati.
 Se le sfuriate da parte di Massimo erano diminuite, non erano però cambiate le sue abitudini e la di lui permanenza in casa era sempre rara, ma ad Irene bastava vederlo più calmo perciò credette di essere un po’ più apprezzata e di aver superato il suo tirocinio di moglie in modo favorevole,  Da quando non viveva più nell’ansia di venire aggredita con male parole per ogni nonnulla, la sua giovinezza riprese il sopravvento, dandole più forza e sicurezza. I fiori della loggetta erano sbocciati e, con le piantine degli “odori” inondavano di profumi tutta la casa e Irene cantava. Aveva ripreso, quasi inconsciamente, a cantare sia le canzoni in voga che le belle romanze imparate al Castello mentre ricamava il corredo, quasi ultimato e mentre s’ingegnava di abbellire e guarnire, la modesta dimora, con cuscini, centrini e tende vaporose. Si era affezionata a quella piccola casa sotto i tetti e aveva saputo. in breve tempo, renderla più accogliente e nell’occuparsi del suo andamento e di mille dettagli che il suo buon gusto le suggeriva cantava al cielo che era così vicino, ma che da lassù, ne poteva scorgere appena un lembo che la faceva sognare riportandole le sue speranze di non molto tempo addietro.
 Augurandosi fervidamente che il suo bel marito le dimostrasse più tenerezza e si accorgesse che la sua ritrosia le veniva dalla timidezza, Sarebbe bastato un po’ d’incoraggiamento e, Irene sarebbe divenuta più espansiva. Possibile che non capisse? La gelosia si fece strada nel suo animo. Pensò che se avesse potuto condividere più tempo con lui forse si sarebbe instaurata una più profonda intesa … chissà? Fino a che non fosse giunto un figlio, avrebbe potuto benissimo trascorrere qualche ora in negozio, oltre a tenerle compagnia, si sarebbe fatta conoscere dalla clientela e lei stessa avrebbe potuto vedere da vicino quelle clienti sconosciute che lei inconsciamente temeva. La giovane donna, convinta che qualcosa poteva modificarsi in meglio attese il ritorno del marito.
Iniziò col dirgli che le avrebbe fatto piacere occuparsi delle vetrine, fino a ché non avesse preso dimestichezza delle qualità delle stoffe, dei metraggi e dei prezzi, ma l’improvvisa reazione negativa di lui, la impaurì al punto che si sentì mancare, impedendole di terminare per intero la sua proposta di collaborazione:- “Senti senti la signora che si permette di fare progetti!

 Vorrebbe fare le vetrine, lei!… Ma quelle vanno bene come stanno.

 Te lo dico io, invece, quali sono i tuoi pensieri… vorresti venire a negozio per perdere tempo a chiacchierare con le mie clienti e farle restare a ingombrare più del dovuto.

 Ma che brava donna di casa sei !….. Già stufa di fare le faccende?

 Mi sono trovata proprio una brava moglie.”

 L’uomo non la finiva più di commiserarsi e di coprire d’improperi la poverina che provò a turarsi le orecchie per non ascoltare oltre quelle parole ingiuriose, mal gliene incolse però perché lui le prese le braccia torcendogliele con rabbia, mentre continuò: … “ Non vorresti ascoltare eh?. si vede che dico il vero.

 Begli affari farei, se ti dessi retta!

 Non hai neppure l’assillo di recarti ogni giorno al mercato, che sarebbe una grossa fatica, oltretutto, mentre invece vorresti venire a oziare fra i miei piedi !

 Il tuo posto di lavoro è dentro casa e, qui devi stare!

 E’ fin troppo il tempo che hai per gingillarti quando te ne stai sola senza alcun cotrollo… figurarsi!

 Credevo di avertelo già detto che non deve esistere il negozio per te, a quello basto io, non ho bisogno di nessuno, io,… Che non se ne parli più.”

 La ramanzina piena di offese e di cattiverie, non adatta neppure ad una inserviente, fece molto male a quella povera moglie che si sentì, ancora una volta umiliata e disprezzata.

 Comprese benissimo che il suo ruolo di moglie cominciava e finiva sulla soglia di casa e, nello svolgersi delle giornate a venire, non ci sarebbero state schiarite. Nulla le sarebbe mai stato concesso, anche i più elementari diritti avrebbero cozzato contro i divieti di quel dittatore che avrebbe preteso, al contrario, di essere ossequiato ad ogni istante per il solo fatto che si era degnato di prenderla in moglie.

 La gretta mentalità di suo marito pretendeva soltanto che ella esplicasse alla perfezione e senza discutere le mansioni per le quali era

stata “ assunta “ nel ruolo di moglie e futura madre ed esigeva la sottomissione, la riconoscenza e la prontezza nell’eseguire gli ordini.

 Altro che passeggiate culturali fra le antiche vestigia di Roma!

 Il destino l’aveva ingannata anche se lei non era mai stata attirata da esistenze appariscenti, fuori di una normale esistenza domestica, però

 Il condividere felicemente ogni giornata, in simbiosi col proprio partner, quello si, era ciò che l’avrebbe appagata.

 Era arrivata a pensare che Massimo non desiderasse avere neppure dei figli, poiché non aveva mai accennato al fatto che dopo parecchi mesi dalle nozze non si fosse ancora verificata una gravidanza.

 Oppure era proprio il dubbio che sua moglie non fosse in grado di dargli un erede che lo rendeva così intrattabile e litigioso?

 L’infelice donna cominciò a pregare fervidamente affinché questo suo desiderio si realizzasse quanto prima… poteva pure essere che un bimbo, avrebbe fatto ingranare meglio la loro vita familiare.

 Ella si attaccò con tutta l’anima a questo suo dolce desiderio, già

pregustando la felicità di divenire madre.

Il bimbo nacque in casa, come era l’uso corrente ed a raccoglierlo fu chiamata l’anziana levatrice che riscuoteva la fiducia del quartiere e che

visitando nei primi mesi di gravidanza la giovane sposa, aveva richiesto la presenza della di lei madre, al momento del lieto evento.

 Renata, fu pronta a trasferirsi presso sua figlia, al momento opportuno, anche se durante gli ultimi mesi era venuta a trovarla insieme a suo marito un paio di volte non trattenendosi più di una giornata.

 Ora però, si organizzò in modo da rimanervi per tutto il tempo necessario e, finché sua figlia non fosse stata in grado di adattarsi al suo nuovo ruolo di madre, si sarebbe presa cura del neonato.

 Averla accanto, rese tutto più facile a Irene che fu lieta di sentirsi protetta e guidata nel periodo del puerperio, il calore dell’affetto materno, pur confortandola non riusciva a disperdere l’amarezza lasciatale dalle tante, solitarie, lacrime versate da quando si era sposata. 

 La giovane madre sapeva. inoltre, che doveva godere delle sue premure più che poteva giacché, una volta ripartita, sarebbero riemersi i suoi assilli e i suoi tormenti nell’incertezza di sapere se l’arrivo del piccolo Andrea avrebbe reso meno irascibile il suo difficile marito che non si era addolcito neppure all’annuncio del prossimo arrivo del suo primo figlio.

 Si era soltanto limitato a commentarlo con delle aride parole: “Credevi non sapessi che prima o poi doveva nascermi un figlio ? Era tuo dovere diventare madre!

Dico solo una cosa…..Vedi che sia maschio… altrimenti !”

L’ultima esclamazione per la donna rimase un mistero.

Quando vide, il neonato poi, se ne uscì con una frase che colpì molto nonna Renata: “ Quanto è brutto! Ma guarda che figlio mi doveva capitare! Spero proprio che migliori col tempo… ad ogni modo ho deciso di chiamarlo Andrea!”

La suocera, abituata alle battute spiritose del suo Guglielmo, capì un attimo dopo che lui parlava seriamente e ci rimase molto male perché ai suoi occhi, quel pargoletto, pareva il più bello del mondo.

Ne prese subito le parti e gli rispose: “ Certo che appena nato, così rosso e congestionato non può mica andare a un concorso di bellezza, per lui, venire al mondo, è stata una fatica come quella della sua mamma; ora dovranno riposare e riprendersi tutti e due e poi, caro genero, vedrà che splendore diverrà fra qualche tempo.

Questo signorino, attirerà i baci di noi tutti! 

Per fortuna non vide lo sguardo di traverso che gli rivolse Massimo!

Se ne accorse Irene però che si sentì stringere il cuore.

Che accoglienza aveva ricevuto il piccino da suo padre, ne rimase male anche per la nonna che si andava prodigando in mille faccende, dividendosi fra mille compiti.

 La puerpera, se la sentiva più vicina ancora la sua mamma,

 Di fronte al miracolo della nascita che si ripete per ogni bimbo che viene alla luce, ogni donna, acquista la consapevolezza dell’immenso compito a lei affidato e spera di esserne degna e capace e, solo allora, si comprende veramente quanto la propria genitrice sia stata grande e l’unione con lei si cementa ancor di più.

 Osservando i gesti rapidi e sicuri di Renata che stava facendo il primo bagno al nipotino, Irene si chiedeva se sarebbe stata capace di farle altrettanto bene quelle operazioni che richiedevano sicurezza e delicatezza.

 S’intenerì nell’ascoltare le buffe e dolcissime espressioni che ella stava rivolgendo a quel piccino ignaro, come se fosse sicura che lui la capisse e sorrise pensando che in ogni latitudine ogni mamma e ogni nonna si esprimono in tal modo verso le tenere creaturine.

 Mentre asciugava le tenere membra indugiò un poco prima di ricoprirlo coi pannicelli puliti e non poté fare a meno di baciare quei piccoli piedi, senza fargli violenza e trasfondendo in quei baci tutta la sua tenerezza … anche questo è nutrimento, prezioso e necessario, per ogni bambino.

Nell’osservare il suo piccolo, “ strapazzato” dolcemente dalla ancor giovane nonna, Irene, afferrò il significato inedito e struggente dell’amore materno che ancora non conosceva e lacrime cocenti le sgorgarono improvvise ricordando che anche suo padre era stato capace di dare a lei fin da piccola, lo stesso amore materno.

 Ne sarebbe stato capace, Massimo, nei confronti del loro bambino? Ne dubitava!

 Si tirò sul volto un lembo di lenzuolo per non far scorgere a sua madre  [*] proprio i ringraziamenti della riconoscente Irene per tutti i regali che i genitori avevano portati che suscitarono quella critica malevola, non appena gli ospiti se ne furono andati, ma la moglie se ne risentì al punto che fu pronta a ribattere: “A me non sembrano svenevolezze come le chiami tu, ma soltanto espressioni di affetto e di buona educazione.

Tu non dici neppure un grazie quando ricevi una cortesia, si vede che nessuno te lo ha mai insegnato! Da beffardo, l’uomo divenne violento e le allungò un manrovescio colpendola al viso.

Sarebbe bastata una critica bonaria o un frizzo scherzoso, senza ferocia e tutto sarebbe finito in una risata ed egli si sarebbe riscattato ai suoi occhi, invece quel comportamento malevolo e brutale le confermò ancora che egli non era capace di nessuna commozione.

Non l’avrebbe mai supposto quando faceva la spola fra Roma e il suo paese per venirla a trovare allorché erano fidanzati!

Anzi, quel sacrificio, l’aveva considerato una prova d’amore tantopiù che lui era solito farglielo rimarcare.

Da allora pareva fosse passato un secolo!

Aveva riposto tante speranze nella nascita del piccino e non riusciva a capacitarsi della indifferenza paterna che non si era scossa neppure un poco.

Possibile che non sentisse l’impulso di stringerlo fra le braccia?

Un groppo le serrava la gola e sua madre, credendola emozionata

e affranta ancora per la prima traumatica esperienza del parto, le sorrise e la esortò a riposare tranquilla, rassicurandola che Andrea per il momento non avrebbe reclamato le sue cure.

Si sentì ritornare bambina accettando passivamente quelle premure  

che le blandivano l’animo ed anche se sua madre era di carattere meno espansiva del babbo, sapeva al momento opportuno, prodigarsi in mille modi per coloro che amava.

Perché solo il cuore del suo uomo era sempre di ghiaccio?

Ricominciò a pensare che ci volesse del tempo perché in lui germogliasse l’amore paterno e sperò che ciò accadesse prima che il piccolo si accorgesse della sua freddezza.

Tutto l’opposto per nonno Guglielmo che già stravedeva per il nipotino e, trascurando persino le sue attività, si ritenne in dovere di fare la sua visita giornaliera e prendendosi passivamente i dolci rimproveri delle sue “donnine” che non accettavano di vederlo sobbarcarsi alla fatica del lungo viaggio in carrozza e di tutte le scale da salire e scendere pur di dare un bacetto al neonato che, inutile dire, egli trovava bellissimo.

Con la usuale bonomia egli era pronto a ribattere : “ Di quali strapazzi parlate? Io, come nonno, ho il dovere di rendermi conto che a mio nipote non manchi nulla, che sia ben accudito e soprattutto che, voi donne, non lo viziate troppo, perciò la mia presenza giornaliera è più che necessaria. “

Tenere parole, ma oltre l’affetto che sentiva per i suoi cari, la ragione primaria che lo faceva partire da casa appena albeggiava, era il fatto di sentirsi solo e lontano quindi preferiva stare vicino al suo bel “cucciolotto” che se la dormiva beato nella culla ornata di trine che le abili mani di sua figlia aveva ricamato.

Quest’ultima non poteva sottrarsi al confronto fra i due padri.

La diversità fra i due uomini si evidenziava in ogni loro atteggiamento ed ella con rammarico dovette riconoscere che non esiste felicità più grande e completa di quella di una famiglia affiatata e unita; questa sola è la base certa che fa affrontare in modo positivo tutte le difficoltà che possono sorgere lungo il percorso della vita.

Specialmente l’amore e la dedizione che due genitori uniti sanno dare ai propri figli, senza chiedere nulla in cambio, sarà l’esempio su cui si forgeranno.

Ma l’amore per la prole è davvero nella stessa misura in tutti gli esseri viventi?

Lo si vede anche negli animali e spesso si verificano dei fatti che ne danno conferma anche se non mancano episodi di cannibalismo o di rifiuto che ne fanno dubitare.

Nella mente d’Irene si accavallavano queste domande e, analizzando il comportamento di Massimo, cominciava a pensare che,lui, fosse un essere anomalo con fondamenti e sistemi tutti suoi.

Sarebbe ritornata su tali riflessioni nel corso degli anni, quando più consapevole e distaccata, avrebbe capito che in alcuni esseri convivono sentimenti atavici ed inconsci che scomponendosi e riproponendosi nella alternanza delle generazioni si esprimono e si evidenziano in difetti e virtù che tramite i geni ereditari tornano a formare i caratteri.

Nulla può cambiare la catena genetica tranne la manipolazione di laboratorio che si paventa debba avvenire al solo scopo di sovvertire la natura originaria e se è già difficile arginare cattive tendenze o modificare

Impulsi innaturali che conducono a delitti inspiegabili, come mai si potranno prevedere e curare organi e cervelli sconosciuti perché creati scientificamente?

Già così, il modo di vivere di Massimo. dava molto da pensare alla povera moglie :

Lo vedeva uscire da casa indifferente al traffico insolito che vi regnava per tornarvi la sera tardi, mangiava i suoi pasti, andava a dormire sul divano della camera da pranzo, perché aveva preferito che fosse la suocera a dividere il letto con sua moglie per essere più vicina alla culla, ma tutto era compiuto senza slanci e senza commenti.

Abituati ai suoi mutismi nessuno lo contrariava, ma per la moglie e per il figlio mai una tenerezza.

Irene però capiva che lui mordeva il freno ed era mortificata che i suoi vedessero il suo comportamento per nulla affettuoso.

Lo attribuivano forse a preoccupazioni di lavoro o alla loro presenza che si stava troppo prolungando.  

 

Irene aveva escogitato varie tattiche di comportamento per far si che suo marito la rispettasse, ma né con la calma olimpica, né con l’indifferenza più completa, tantomeno con l’apparente comprensione e ancor peggio col sarcasmo che riusciva a renderlo più furioso ancora, non era mai riuscita a modificare minimamente i suoi codici maschilisti, irriflessivi e ben radicati.

Solo a distanza di anni e, dopo tanto patire, ella riuscì a comprendere, in parte, quella contorta personalità che pensava d’imporsi agli altri con la sua forza aggressiva e le parole malevole.

In particolar modo colei, che considerava una schiava, doveva sentire incessantemente il suo pugno di ferro per non dimenticare che lui solo poteva disporre come voleva delle sue azioni.

Presumibilmente era il senso d’inferiorità che inconsciamente sentiva e che non accettava, di fronte a quella “ paesanella “ come soleva chiamarla; non le perdonava che riuscisse a svolgere il suo ruolo di subalterna con intelligenza e signorilità prevenendo e parando le sue cattiverie, quasi che leggesse i suoi pensieri.

Se, come spesso succede, il sentimento che unisce due esseri è formato di amore e odio, in alternanza, quello che dimostrava Massimo era soltanto il secondo e allora?…Dov’era finito quel barlume di affetto iniziale che pure ci doveva essere stato quando si era fatto avanti ?

Non riusciva a persuadersi, l’afflitta sposa, che solo il tornaconto

avesse spinto l’uomo a metter su famiglia.

Si era ingelosita al pensiero che avesse un amore segreto e per questo le aveva precluso l’accesso al negozio, ma dopo lunghe riflessioni, era giunta alla determinazione che in suo marito non albergavano i buoni sentimenti, era incapace di amare e di dare amicizia.

Portato solamente a fare denaro, ma solo per il piacere del possesso perché non era mai capitato che egli avesse largheggiato nelle spese necessarie all’andamento famigliare, delle quali si occupava personalmente cosicché la moglie era tenuta all’oscuro di entrate e uscite.

Di questo fatto si vantava perfino coi suoceri : “ Vostra figlia non ha pensieri… li lascia tutti a questo povero marito che oltre che al lavoro deve avere sulle spalle anche queste responsabilità! “

Irene si rimproverava di non essersi ribellata subito alle sue imposizioni, ma era stata fiduciosa che le cose si sarebbero modificate col passare del tempo.

Massimo poteva pure essere motivato dal credere che lei non conoscendo ancora bene Roma, non avesse saputo ben destreggiarvisi da sola, ma se mai gliene dava l’opportunità di dimostrargli il contrario, sarebbe rimasto sempre con quell’idea.

Dopo la nascita di Andrea, nulla era cambiato e lei continuava a soffrire per quella clausura impostale con dei ragionamenti che non reggevano più e avrebbe avuta voglia di rintuzzare le solite argomentazioni che la facevano sentire una nullità: “Meglio che tu non esca da sola per la città che non conosci… io non starei tranquillo in negozio… usciremo insieme quando avrò un po’ di tempo da perdere!”

Comprese la sua grettezza, quando sprangò anche le persiane col pretesto che non voleva mostrare l’interno della sua casa a dirimpettai curiosi … ma la loro casa non aveva dirimpettai particolarmente impiccioni…perlomeno lei, non se ne era mai accorta.

Tutte scuse sciocche che lei si era stancata di ribattere, visto che il risultato era sempre quello di venire insultata.

Per il suo carattere adattabile e comprensivo non conosceva la ribellione, sapeva solo che ai mariti si deve obbedienza e,lui, avrebbe finalmente capito che non era quello il modo di trattare una moglie.

Nessuno si peritava, a quel tempo, di dare il giusto valore alla differenza di educazione, di cultura, di sensibilità che poteva esserci fra due partner che s’incontravano, s’innamoravano e decidevano di sposarsi, ma che non avevano la possibilità di frequentarsi per approfondire le loro affinità o meno che dovrebbero essere chiarite profondamente perché su quelle basi si forgerà una perfetta unione.

I fidanzati erano guardati a vista fino al momento del fatidico “si” dai genitori che speravano nel loro futuro buonsenso per appianare le probabili divergenze e tutti sapevano che doveva essere poi la moglie a fare quello che voleva il coniuge: questa era l’usanza e nella pratica, accadeva, che l’appartenente al cosidetto “ sesso debole”, per ironia della sorte, doveva sempre trovare la sorte per adeguarsi alle sorprese future.

Le poche donne che, per circostanze favorevoli, ritrovavano sia l’equilibrio che la …libertà, venivano messe al bando della società che le bollavano come donne indegne ed esempi da non copiare.

 

Massimo se ne stava quieto soltanto quando vedeva faticare sua moglie più del dovuto e alcune volte, la povera donna, era visibilmente stremata, specialmente da quando era nata Aurora, a circa tre anni di distanza da Andrea.

Come la prima volta, nonna Renata si era trattenuta fino a che sua figlia non era stata in grado di riprendere le redini della casa, ma certamente il lavoro si era raddoppiato per la giovane madre e il marito sembrava non accorgersene ; mai che la invitasse a prendersi un po’ di riposo o a proporle una servetta.

Anche per i bambini non c’era mai uno svago o una passeggiata all’aria aperta!

Eppure egli avrebbe avuto la possibilità di condurre seco la famiglia in calesse quando si recava a consegnare la sua merce ai suoi clienti dei Castelli romani, sarebbe stata l’occasione per far divertire i piccoli.

Invece lui ne approfittava per andare a caccia e passare delle ore senza pensieri.

Bisogna riconoscere che questi suoi viaggetti permettevano anche ai suoi, liberati della sua oppressiva presenza, di trascorrere delle giornate migliori poiché la mamma preparava qualche piccolo dolce casalingo che rendeva felici i ragazzini ed inoltre organizzavano insieme dei lavori in…grande ove tutti si sentivano utili.

Quante volte, con la complicità di nonno Guglielmo che li riforniva per tempo dei materiali occorrenti, avevano ridato il fresco alla cucina o avevano rinnovato la terra dei vasi proprio in quelle lunghe giornate che sarebbero state oziose se l’accorta madre non le avesse riempite di giuochi e…lavori.

Lavorando, invece, allegramente come per giuoco, nessuno sentiva la mancanza di svago esterno.

I giuochi/ lavori che la fantasiosa Irene escogitava, erano i più vari: quadretti di collages fatti coi più disparati materiali posti con senso artistico che diventavano paesaggi, animali o fiori e che li rendevano felici, stupefatti loro stessi dei bellissimi risultati.

Facevano tutto in economia, utilizzando le cose inutili.

Persino sfilando il cordame degl’imballi delle partite di stoffe e, lavorando di uncinetto avevano creati sottopiatti e cestini e i figli, pensavano che per la loro madre non esisteva nulla che non si potesse fare..

La madre stessa ridiventava bambina coi suoi bimbi che si erano abituati a divertirsi con poco e il tempo passava e, dopo sette anni di matrimonio, Irene si ritrovò in attesa di un altro figlio.

  

Mentre Aurora era bruna e robusta, somigliantissima al fratello più grande, Alfio apparve subito più delicato e mingherlino - a causa della debolezza materna - disse la solita ostetrica, dall’alto della sua esperienza che aveva aveva più volte messa in guardia la signora Irene durante la gestazione,

L’aveva detto anche al marito che l’ultima gravidanza e il gravoso lavoro domestico la stavano esaurendo e che bisognava provvedere per tempo, affiancandole una collaboratrice, almeno per sottrarla ai lavori più pesanti.

Ma lui fece finta di non sentire…” perché una vera una madre di famiglia deve saper fronteggiare da sola ogni evenienza !”

Fortunatamente anche in questa occasione la madre le venne in aiuto seppure soltanto per un breve periodo giacché anch’ella trepidava per la salute del suo Guglielmo che aveva accusato qualche malessere al cuore e che non poteva lasciare solo troppo a lungo.

Anche a distanza di anni, Irene ritrovava fra i suoi genitori lo stesso, premuroso affetto che li aveva sempre legati.

Quanta differenza di comportamento di suo padre per la sua sposa alla quale imponeva il riposo quando la vedeva troppo indaffarata; le risuonavano agli orecchi le parole che era solito indirizzare alla sua iperattiva metà: “ Devi riposarti assolutamente… lascia perdere tutti i tuoi lavori che non sono necessari quanto la tua salute, nessuno ti rimprovera se qualcosa non sta in ordine! Le donne non debbono divenire le schiave dei loro cari!”.

In queste sue espressioni, egli includeva anche la loro giovane figlia, sempre pronta ad aiutare quella madre tanto brava e infaticabile.

Ripensandoci a distanza di anni, Irene si rallegrava per avere imparato da lei tante cose perché con Massimo sempre scontento, non si sa cosa sarebbe accaduto se fosse stata un’inetta?

Se lo era chiesto spesso l’infelice donna!

L’ultimo parto non era stato facile e la spossatezza del suo fisico per.sisteva, anche il latte era scarso e il suo cuore tremava al pensiero della probabile cattiva reazione di suo marito.

Questo stato di cose la condusse ad uno stato ansioso, per un nonnulla sussultava e, una sorta di fobìa, la teneva sveglia anche la notte; scrutava e soppesava continuamente il neonato perché le pareva di non nutrirlo a sufficienza con il suo scarso latte.

La forza d’animo che l’aveva sempre sostenuta, sembrava verla abbandonata e non riusciva più a prevenire gli scatti nervosi di suo marito che più di una volta aveva reagito all’allegria esuberante di Andrea e Aurora, scagliando loro il primo oggetto che gli era capitato tra le mani.

Pur se avevano scampato il peggio, i due ragazzini, oltre la paura, ne portavano ancora i segni.

Per la loro madre non c’era più pace!

Quando li perdeva d’occhio, perché occupata con Alfio, se c’era in casa Massimo, prevedeva sempre il peggio e si sentiva il cuore in gola questo non giovava al nutrimento del piccolo che da quel latte agitato ricavava dolori al pancino che non lo facevano riposare tranquillo.

La conseguenza più grave era che la notte non faceva che piangere disturbando Massimo che cominciava a inveire verso madre e figlio, giungendo a cacciarli entrambi dalla stanza da letto perché non voleva privarsi del “suo diritto” al sonno.

Così, la sconsolata Irene, era costretta ad attendere il giorno, seduta in cucina col bimbo in seno avvolto in una coperta.

Al momento di uscire, l’energumeno, la.tacitava dicendo: “ Tanto tu stai a casa, non sei costretta ad andare a lavorare, potrai dormire stamattina! Egli non si rendeva affatto conto che, a lei, per tutta la giornata sarebbe stato impossibile riposare.

Irene, senza rendersene conto, stava assumendo il ruolo, non invidiabile, di “Vittima” di quel ” Tiranno” che spadroneggiava a suo piacere.

Il profumo delle erbe odorose, coltivate sulla loggia si spargeva per l’aria e riempiva la cucina e ne ossigenava persino il fumo dei comignoli sui tetti all’intorno.

 Da quell’ultimo piano, si vedevano tutti con un colpo d’occhio, quei tetti spioventi, ove le rondini facevano il nido e Irene ne godeva la vista dal suo padiglione fiorito che la riparava da ogni sguardo; nei momenti che lo poteva concedersi qualche intervallo, lo considerava il suo riposo che, se non per le membra, lo era sicuramente per l’anima perché ne ricavava beneficio e ristoro e per la mente che s’incanalava verso pensieri ameni e solari.

 I rampicanti di rose a mazzetti e di gelsomino ingentilivano quel piccolo spiazzo che poteva dirsi un prolungamento aperto della cucina che usavano anche i piccoli per i loro giuochi, mentre lei li sorvegliava dai fornelli mentre preparava i suoi saporiti pranzetti.

 Aveva dovuto sospendere la stesura del” Dizionario delle Erbe” che era rimasto a metà, come lo erano rimasti i suoi sogni di fanciulla.

 La minuscola oasi diventava tutta sua nelle prime ore del mattino quando il sole sorgendo la indorava e le rondini garrivano felici nel cielo salutando il nuovo giorno.

 Per abitudine,Irene, era mattiniera e, mentre ancora tutti erano immersi nel sonno, lei era già li a godersi i suoi fiori, innaffiandoli ed a spiarne la crescita e, al tempo delle rondini, sembrava che anch’esse si dessero convegno nel piccolo lembo di cielo che la sovrastava per fare festa solo a lei, rondine senza ali.

 Il loro canto di libertà era un inno alla vita e, le faceva piacere pensare, che alcune di esse la riconoscevano per loro benefattrice, perché all’ interno della loggia, trovavano miglio e molliche di pane che, all’insaputa di tutti, la giovane donna spargeva, pronta a ripulire ben presto il mattonato allorché i pennuti avevano esaurito il loro…rifornimento

 Se ne stava immobile, per non spaventarle, addossata allo stipite della portafinestra, gioendo di quella parentesi mattutina, in cui parlava loro, augurandosi che il cibo che avevano prelevato e che conservavano nel becco giungesse ai loro rondinotti ancora implumi che le attendevano fiduciosi nei nidi.

 Come doveva essere bellla la vita libera degli uccelli!

 Le sentiva amiche le rondinelle che, fedelmente, ritornavano a primavera; ne individuava i nidi sotto le tegole da dove le vedeva uscire al mattino e dopo vari andirivieni, vi si rintanavano a sera ebbre di voli, di aria e di libertà.

 Anche in Sabina aveva amato quei voli di rondini attorno alla sua casa e aveva sofferto nel leggere, una volta, sul quotidiano di Roma,“ Il Messaggero” al quale era abbonato suo padre, il resoconto di una impresa sadica compiuta ai loro danni da un gruppo di cacciatori di giovane età che, per scommessa, avevano raggiunto il raccapricciante record, dell’uccisione in volo di ben 2186, povere rondinelle.

 

 

 

 

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