I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZOSTORICO
in tre parti

PRIMA PARTE
(7) 

 

 

Con la perspicacia di ogni madre anche la sua comprese ciò che stava avvenendo nell’anima di sua figlia e, come la stessa, ponderava i pro e i contro di quella nuova situazione. Come di consueto cominciò a soffrire per come si presentava il futuro di quella povera ragazza e si augurava che non avesse a soffrire troppo per quel che poteva capitare.

 Nella sua casa, ogni avvenimento felice doveva, forzatamente, tramutarsi in sofferenza, che crudele destino avere incontrato Massimo.

 Anche quel bravo ragazzo che si era invaghito di Aurora ne sarebbe stato coinvolto e la povera donna si sentiva impotente per dare a entrambi valido aiuto.

 Non avrebbe voluto che due bravi figlioli come loro soffrissero.

 Nel corso della mattina seguente alla serenata ci furono indiscrezioni pettegole che misero al corrente, il collerico padre, della destinataria della “notturna musicale”.

 Dapprima incredulo e poi furibondo ne ricercò l’autore e qualche giorno dopo lo affrontò nella strada di casa. Lo apostrofò quasi aggredendolo con l’ingiunzione di non rivolgere più lo sguardo sulla sua ragazzina, alla quale si riservava di propinare un giusto castigo per quel tanto d’incoraggiamento che pensava le avesse concesso.

 Il ragazzo spaventatissimo per le minacce, ma più ancora per ciò che potesse

accadere ad Aurora, si sfogò in seno alla propria famiglia per trovare consiglio e appoggio, ma quella povera gente ne fu intimorita anche peggio di lui e l’unica soluzione, per lo meno, la più sollecita fu quella di allontanarlo subito da Roma:

 Fu così inviato da un zio di Milano che lo prese a lavorare seco nel suo laboratorio di elettricista.

 Per la ragazza si misero ancor peggio perché dopo gli schiaffi, suo padre le propinò il divieto assoluto di uscire; da quel momento sarebbe stato Alfio a fare la sèpesa quotidiana.

 Le donne Sarducci ebbero la stessa pena; recluse entrambe.

 Soltanto le affettuose e comprensive parole di sua madre consolarono l’animo afflitto della giovanetta, persuadendola di non sciuparsi gli occhi con il pianto per non diventare così brutta che Romeo al suo ritorno non l’avrebbe riconosciuta poiché non doveva mai perdere la speranza di rivederlo. Irene parlò in buona fede col suo inguaribile ottimismo che se non altro dava fiducia a chi l’ascoltava aiutandola ad andare avanti.

 Sicuramente però, l’affetto per il proprio genitore, subì un’altra scossa nell’animo della sconsolata figlia che se se ne fosse potuta andare lo avrebbe fatto volentieri per non vederlo mai più. Se Aurora riassaporava col pensiero i periodi distensivi trascorsi in Sabina,anche Alfio non era da meno anche perché lui li collegava alle scoperte artistiche che aveva fatto tramite il nonno, la conoscenza di trattati di filosofia gli avevano dato delle risposte esaurienti, la lettura di libri di storia patria e dei classici in genere, gli avevano approfondito le conoscenze scolastiche, così pure per quanto riguardava la musica, la sua grande passione.

 Nonno Guglielmo lo aveva incaricato ufficialmente di riordinare la sua grande biblioteca ed era stato categorico nel dirgli: “questo per te dovrà essere come un vero e proprio lavoro e anche se ti piace e lo faresti volentieri anche gratis, io intendo assegnarti una paga, questo taciterà anche le obiezioni che potrebbero venire da tuo padre, visto che nei periodi che starai con noi, egli dovrà provvedere da se alla “ famosa spesa.

 Voglio vedere se si deciderà a far uscire le donne?“

 Irene era contenta di saperlo presso i suoi perché lui ci stava volentieri e poi perché l’aria giovava al suo fisico, dopo quei soggiorni, egli ritornava rinvigorito e sereno.

 Nonna Renata con le sue belle fette di prosciutto e i suoi risotti gli faceva tornare quell’appetito che spesso in lui scarseggiava, tutto preso dai suoi studi.

 Era forse il senso di libertà che riacquistava lontano dalla costrizione paterna che contava anche i bocconi dei figli. La nonna gli aveva fatto acquisire l’abitudine di prepararsi da se stesso lo zabaione con le uova di giornata e zucchero senza economia e questa era sempre stata per lui una ottima ricetta ricostituente.

 Se non ci fossero stati i ritorni a Roma, per Alfio sarebbe stata la felicità perché parlare col nonno era così facile, non venire mai frainteso, capire a volo le esposizioni delle sue teorie, avere il consiglio adatto nel momento che serviva senza essere cattedratico e opprimente. Che uomo il nonno”!

 Passeggiando nel bosco di prima mattina, poteva starsene a fantasticare quanto voleva, libero di organizzarsi lavoro e svago a suo piacimento…che bello!

 Egli si era sempre sentito a suo agio nel placido clima monastico fra quella gente semplice e sincera e sempre quelle colline gli avevano fatto conoscere le emozioni più profonde. Essendo nipote all’Amministratore Alfio aveva sempre avuto libero accesso ovunque, anzi le famiglie dei massari si sentivano onorate dalla presenza del Signorino, tanto cordiale e così educato che s’interessava delle loro questioni.

 Nel periodo pasquale, specialmente da bambino, accompagnava il Parroco nella benedizione delle case e unitamente all’obolo per la chiesa, c’era sempre un dolcetto speciale che lo attendeva; anche il nonno se lo portava dietro volentieri ed era allora che, mentre gli uomini facevano il punto delle quantità di sementi e di raccolti, egli s’intratteneva nelle grandi cucine ad ascoltare avidamente le storie e le leggende che le vecchie nonne avevano l’abitudine di raccontare. Spesso però erano racconti contornati di mistero che servivano solo ad impaurire i piccoli ascoltatori.

 Fra i ricordi di Alfio bambino, c’era appunto una leggenda di diavoli che gli procurò una fortissima, paurosa emozione. Aveva all’ incirca sei anni quando fu spettatore per la prima volta di una improvvisa e violentissima tempesta che, poi seppero aveva devastato greggi, armenti e coltivazioni.

 Avvenne in un tardo pomeriggio afoso d’estate, mentre stava giocando in cucina, accanto alla nonna in attesa del rientro del nonno, d’improvviso una immensa nuvola nera oscurò il sole, quasi al tramonto e subito una violenta tromba d’aria si abbatté sibilando sulla casa, scuotendo [*] uscì e vetrate da costringere la nonna a correre su per la scala per serrare bene ogni imposta aperta, mentre il bimbo terrorizzato dal fragore di lampi e tuoni, guardava dal vetro della porta di cucina i fulmini e le saette che squarciando il cielo si schiantavano dietro la montagna.

 Mentre l’acqua scrosciava violenta, i bagliori dei lampi suscitavano sagome di fantasmi fra gli alberi secolari del bosco. In un attimo avvenne il finimondo e, per la prima volta, lo spaventatissimo bambino, si trovò di fronte allo scatenarsi degli elementi che immediatamente concatenò ad una leggenda udita qualche giorno prima che raccontava come i diavoli abitassero nei tronchi degli alberi dove conducevano i bambini che si avventuravano di sera soli nel bosco….quanto sarebbe meglio non narrare mai a bambini troppo sensibili storie simili, potrebbero ingenerare in loro delle fobìe incancellabili creando malesseri e insicurezze. Molto meglio favolette morali e gioiose in un clima sereno.

 Nella Badia c’era però un’atmosfera da fiaba che dava conforto allo spirito e il piccolo giardino della mamma era così fresco e invitante che Il ragazzo vi trascorreva piacevolmente delle ore a leggere i suoi libri preferiti e il pensiero correva a sua madre che lo aveva creato e immaginava la sua nostalgia per non aver mai potuto avere il permesso di rivederlo, come la casa natìa, la chiesa e tuttociò che aveva amato e che amava ancora…come fosse dall’altra parte del mondo invece che a pochi chilometri.

 Tutto dovuto al carattere dispotico di un marito dittatore!
Le bande municipali portavano nelle piazze italiane i brani di musica più noti e

questi concerti popolari erano attesi con impazienza e seguiti da un numero grandissimo di appassionati che altrimenti non avrebbero mai avuto la possibilità di ascoltarli perché riservato solo ad un pubblico di élite. Con le esecuzioni all’aperto, si dava la possibilità di conoscenza e di ascolto anche ai giovanissimi affinando il loro gusto per tempo affinché divenissero oltre che assidui ascoltatori anche dei futuri esecutori.

 Pure Alfio, con la sua anima di artista era stato sensibilizzato in questo senso dall’ascoltare assiduamente quelli che si tenevano nel palco approntato appositamente in Piazza Colonna diretti dal grande Maestro Alessandro Vessellla, rimasti memorabili.

 Gli applausi scroscianti si diffondevano nelle adiacenti vie con la stessa intensità dei suoni che gli appassionati ascoltavano anche affacciati alle finestre delle loro case.

Alfio, sfidando le ire paterne, non vi mancava mai, magari accosciato sul pizzo di un marciapiede, sognando di poter riuscire un giorno a studiare il violino ed eseguire quei classici che il nonno gli aveva fatto conoscere.

 Purtroppo anche questo desiderio dovette essere rimosso perché a sua madre, che se ne era fatta interprete, la solita ironia paterna, diede la risposta definitiva: “ Bene, benissimo! …Ora abbiamo una pulce che perora la causa di un asino, anzi di un ritardato mentale che vuole mettersi a suonare il violino per sbarcare il lunario!

 Non sono bastati gl’inutili soldi per i suoi libri…adesso dovrei sborsarne altri per lo studio del violino, ne pensi ancora un’altra di scemenza simile e sentirà la mia di musica, altro che violino!”

 Con questo ennesimo commento, egli dimostrò, ancora una volta, in quale concetto tenesse l’intelligenza del suo terzogenito.  L’amareggiato ragazzo dovette ingoiare quest’altra offesa e giurò in cuor suo che avrebbe fatto in modo di non chiedergli mai più nulla. Per questo s’impose di raggiungere il diploma di ragioniere col massimo dei voti e lode per poter ottenere una borsa di studio che gli avrebbe consentito di frequentare l’università. La gioia della brillante promozione fu condivisa solo da coloro che lo amavano. Dal nonno ebbe in regalo un orologio d’oro con incisi nome e data a quel nipote così dotato intellettualmente che anche se aveva dovuto accantonare lo studio della musica si stava impegnando con serietà ad elevarsi socialmente.

 Si era anche fatto assumere presso una Società oceanografica in qualità d’impiegato apprendista ove ben presto si mise in vista perché, preciso e coscienzioso com’era fu in grado di redigere le carte in scala nonché i cataloghi ad uso delle scuole.

 Potendo contare su di un’ottima retribuzione mensile si sottrasse al monopolio paterno che fu ben felice di disinteressarsi di lui, fra l’ironia invidiosa di Andrea.

 La borsa di studio era stata sufficiente ad Alfio, per concludere gli studi universitari che avevano comportato un grosso impegno giacché, lavorando,era costretto a studiare di notte al lume di candela, ma era soddisfatto perché era prossimo alla laurea.

 Alfio, sfogava l’amarezza per le tante mortificazioni che non meritava, con la sorella che lo rincuorava facendogli presente che “quelli” non erano cattivi solo con lui, visto che la loro madre faceva una vita ingrata da sempre e per quanto riguardava i suoi sentimenti erano stati calpestati senza riguardo. dalla stoltezza paterna.

 Non si poteva fare altro che rassegnarsi come aveva fatto lei stessa dopo il naufragio del suo primo amore.
La dichiarazione di guerra dell’Italia alla Turchia, fu motivata dall’incidente di Agadir e si maturò in fretta in un clima d’infiammato entusiasmo giovanile.

 E furono molte le schiere di giovani che partirono volontari per la Libia insieme ai militari di leva. L’inesperienza degli adolescenti dal sangue ardente e generoso, permeò di leggenda la spedizione africana e con l’incoscienza di chi della guerra conosce solamente storie romanzate lette sui libri di avventure, partirono in molti al canto di: “ Tripoli, bel suol d’amore”.

 Erano pieni di fede e di baldanza, accompagnati dalla trepidazione materna,e dalla commozione di tutti, ma fiduciosi che il conflitto sarebbe stato vittorioso e di breve durata … Ma quanti ne sarebbero ritornati di quei giovani forti e temerari ?

 Le guerre dovrebbero essere bandite di autorità giacché non sono mai riuscite a risolvere i grandi problemi che le generano; quello che sicuramente lasciano sono rovine, disperazione, carestie e lutti.

 Al termine di ogni conflitto, vincitori e sconfitti debbono risanare le loro piaghe e ricominciare dal nulla. Ci si inchina dinanzi all’entusiasmo generoso di quelli che sono corsi a parteciparvi, ma l’entusiasmo dei giovanissimi è spesso frutto della persuasione occulta di oscuri manovratori, quando non è l’idealismo puro a muoverli, lo stesso, maturato sui banchi di scuola dall’ osservazione di antiche malefatte che non hanno mai assicurato il benessere dei popoli. Coi loro slanci nuovi, i poverini, si sentono in grado di saper rivoluzionare il mondo, creando nuove leggi e nuove istituzioni; purtroppo è proprio di questo sano entusiasmo che si servono gli astuti guerrafondai per i loro sporchi affari di guadagni e potere. Le anime giovanili, nel loro candore, non sanno scoprire le loro manovre losche e subdole che porteranno, loro innocenti e sinceri, a morire, magari da eroi con medaglie al valore che non consoleranno mai le famiglie annichilite. Quanti di questi eroi non hanno mai potuto conoscere l’inutilità del loro immolarsi? Vite sublimi, stroncate nel fiore degli anni!

 Intelletti grandiosi che avrebbero potuto raccogliere altre messi!

 Fra i primi a partire fu anche il neolaureato tenente Alfio Sarducci.

 Ad accompagnarlo furono la madre e la sorella che non finivano mai di salutare il loro congiunto, così bello e radioso col suo ciuffo biondo.

 L’Africa era lontana e da quel momento solo le cronache dei giornali avrebbero fatto conoscere gli esiti delle varie battaglie e i frammentari elenchi di nomi degli eroi che letti con curiosità e dolore da tutti, resteranno poi vivi solo nei cuori di chi li ha amati.

 Sfortunatamente, fra i nomi dei primi caduti, Aurora lesse quello di Romeo.

 Si riaccese il tormento nel suo cuore e fu ripresa dall’amarezza e dal rancore verso colui che aveva distrutto il loro sogno appena sorto.

 Se il povero giovane non fosse stato allontanato, chissà se la sua vita avrebbe avuto lo stesso corso? Si sentì responsabile di quella morte e si rimproverò aspramente di essere stata troppo arrendevole con suo padre, avrebbe dovuto tenergli testa nonostante le busse...

 Ma chi mai può conoscere i misteri che si celano dietro una nostra qualunque azione?

 Quello che sembra certo è che la trama di ogni esistenza si predestina al momento della concezione giacché è già nella famiglia in cui si nasce che se ne creano gli indirizzi. Non esiste al mondo chi sappia veramente cosa sia meglio fare, figurarsi una fanciulla ingenua come Aurora!

 Con le sue lacrime solitarie, si sentiva vittima di un destino crudele e il suo animo si andava lacerando nella sofferenza e nel rimpianto, vieppiù da quando la luttuosa notizia le aveva dato la certezza che non avrebbe più avuta nessuna speranza di rivedere Romeo. Non ancora sopiti gli echi e le conseguenze della campagna Libica, altri fermenti si agitavano, oscurando di grosse nubi il bel cielo d’Italia cantato dal Vate Immaginifico.

 Altri e più gravi avvenimenti incalzavano sulla Penisola iniziando con l’attentato di Sarajevo. Il nuovo conflitto, diventato imminente, si presentava più duro e spietato per l’inadeguatezza dei mezzi e la scarsità degli equipaggiamenti depauperati dalla precedente campagna bellica.

 Purtroppo, malgrado il momento così critico, la nuova molla di guerra s’innescò improrogabilmente. L’Italia dovette necessariamente far fronte con uno spiegamento di forze imponente che impose il richiamo delle classi anziane e l’arruolamento delle leve ancora minorenni.

 Anche il tenente Alfio, appena rientrato dalla Libia, dovette partire per il Carso, ancora una volta la madre e la sorella lo videro partire con la stessa baldanza, mentre il loro animo era affranto e disperato prevedendo un’agonia più lunga.

 Al biondo ufficialetto non furono risparmiate le critiche di suo padre e suo fratello che lo criticarono perché, come ufficiale reduce, non gli sarebbe stato difficile imboscarsi.

 Essi non avrebbero mai capito lo spirito patriottico di alcuno.

 Sapevano molto bene però come tramutare in reddito lo stato di guerra.

 Come accade sovente, ciò che per alcuni è fonte di dolore, di miseria, di lutto, per altri si trasforma in beneficio economico e proprio durante quella Grande Guerra si misero in evidenza i così detti “ Pescicani” che s’identificavano con gli arricchiti di quel periodo perché praticavano la borsa nera o altre speculazioni inerenti ai servizi militari.

 La Ditta Sarducci fu tra questi perché riuscì ad ottenere l’appalto delle forniture delle divise militari, nonché dei tessuti che poi vennero tesserati, ma che era possibile trovare soltanto presso quel negozio.

 All’insaputa di Alfio, si servirono anche dell’ onorato nome del tenente per ottenere qualche agevolazione e da astuti vampiri, padre e figlio, stavano ricavando dalla guerra, grossi vantaggi.

 Fra di loro però le liti divennero frequenti per il fatto che Andrea aveva prospettata la necessità di allargare il negozio, dando una buonuscita ai proprietari di due bottegucce loro confinanti, ma il padre non era disposto a sborsare neanche un centesimo ed anche perché non voleva che il figlio lo prevaricasse nella conduzione dell’esercizio.

 Andrea invece, tanto brigò che riuscì nel suo intento e giunse perfino a mettere il suo nome accanto a quello del padre nella nuova insegna.

 Cosa questa che mandò letteralmente in bestia il vecchio, ma il figlio non se ne dava per inteso perché stava adottando la strategia di porre il padre sempre di fronte al fatto compiuto e, questi, dopo molte rampogne e dissidi, finiva per capitolare:

 Il Sor Massimo aveva trovato uno più prepotente e testardo di lui,riconosceva però,entro di se, che l’intraprendenza di Andrea stava dando buoni frutti giacché il loro negozio era ridiventato di nuovo il più fornito anche se il più caro di Roma.

 Il Capitano Alfio, promosso sul campo per meriti speciali, dovette rientrare prima della fine del conflitto perché ferito gravemente da uno scoppio di granata durante un’azione rischiosissima e proposto per la medaglia d’oro al valore.

 Trasportato all’Ospedale Militare, fu operato ad una gamba che rimase per sempre offesa, così per l’occhio destro del quale perse la visibilità.

 Il fratello non si fece scappare quest’altra occasione per sfoggiare il suo cinismo: “Pur di non lavorare hai preferito perdere un occhio e quasi una gamba…bravissimo!”

 Invece sarebbe bastato prendere in considerazione la motivazione della sua medaglia per comprendere il valore profondo del suo sacrifico: “ con alto senso del dovere e a sprezzo della propria vita, salvò da sicura morte il drappello di cui era al comando…” per comprendere che quel fratellino, delicato all’apparenza, era un vero uomo, pronto a dare prova di altruismo in ogni circostanza.

 Non protestava mai neppure per i sarcasmi a cui era fatto segno, sapendo che venivano da persone egoiste e senza grandi valori morali, come si era rassegnato alla perdita dell’occhio e alla menomazione all’arto che lo avrebbe reso claudicante.

 L’ospedale militare lo aveva posto in convalescenza senza termine, ma lo aveva ugualmente messo in uscita, avrebbe potuto continuare le varie terapie anche stando a casa sua. La madre e la sorella lo accolsero come un trionfatore, anche se il loro cuore si struggeva di fronte allo scempio del suo fisico. Il capitano tornò ad occupare il suo letto nella stanza che aveva sempre diviso con suo fratello seguito da un piccolo ospite, divenuto suo amico in trincea.

 Si trattava di un cucciolo bastardo, mascotte del suo reggimento che gli si era affezionato e che egli non si era sentito di abbandonare nel caos del fronte di guerra.

 I suoi occhi umidi e intelligenti seguivano ogni mossa del suo padrone, prevenendo persino i suoi ordini e scodinzolando contento allorché veniva premiato con un biscotto.

 Si era abituato anche alla musica che abitualmente Alfio ascoltava e non appena avvertiva il fruscio del disco sul grammofono gli si accucciava accanto, rimanendo quieto e assorto, col muso fra le zampe e gli occhi socchiusi.

 L’ufficiale doveva osservare ancora un periodo d ‘ìmmobilità perché il gonfiore della gamba operata, non si era ancora riassorbito e il ginocchio ormai rigido gli procurava delle fitte molto dolorose. Anche la lettura gli procurava bruciore all’occhio sano, quindi l’ unico suo svago era rimasto l’ascolto dei dischi che nonno Guglielmo non gli faceva mancare. Il tempo, nelle sue condizioni, era più lungo e l’inedia forzata gli diede modo di riflettere sul suo precario futuro, augurandosi di non dover essere costretto a pesare sui suoi. Già finito nel fiore degli anni, così si vedeva, come poter sperare nell’attenzione di una donna?

 Quale ragazza sarebbe disposta ad amare un invalido?

 Melanconiche riflessioni, queste, che fecero maturare in lui, la decisione di restare celibe, perché coscientemente, non si sentiva d’ imporre la sua presenza ad una qualsiasi giovane che forse si sarebbe potuta avvicinare a lui per pietà.

 Non l’avrebbe mai accettata la compassione.

 Meglio quindi guardare in faccia la realtà e non cullare speranze illusorie!

 Irene e la mamma avevano raddoppiata la loro tenerezza per quel loro giovanotto tanto provato e cercavano in tutti i modi di rincuorarlo senza far trasparire la loro angustia; egli stesso, talvolta, con un po’ di autoironia, sdrammatizzava la sua situazione con battute allegre.

 Dopo il terzo controllo da parte del medico militare, fu ritenuto in grado di recarsi a giorni alterni al Centro per la riabilitazione ove doveva iniziare le terapie del caso.

 Costretto ad usare la gruccia, egli portava seco anche il cagnolino che lo avrebbe atteso fuori dell’ambulatorio.

 La bestiola felice di trovarsi all’aria aperta, aveva preso come un giuoco il correre sfrenatamente per parecchi metri, voltandosi, per convincerlo a camminare più svelto per raggiungerlo, per ritornare poi mogio mogio al suo fianco, uniformando il suo trotterellare ai piedi del padrone… fino alla prossima corsa.

 Il piccolo Fido aveva imparato anche a fare qualche piccolo servizio su richiesta.

 Prendere un cuscino, un giornale, la copertina da porre sulla gamba quando era in poltrona, piccole cose che con pazienza gli erano state insegnate e che la bestia eseguiva diligentemente che risparmiavano ad Alfio la fatica di alzarsi continuamente e alle donne l’apprensione di essere sempre presenti. D’ improvviso, un giorno Fido palesò una debolezza insolita, rifiutò il cibo e s’infilò sotto il letto, quasi volesse nascondersi, il giorno dopo si ripeté la stessa scena. Irene non riuscì a fargli aprire la bocca per potergli far prendere un decotto, approntato per lui, almeno come primo intervento casalingo. A questo punto la ricerca di un bravo veterinario s’imponeva e ad Alfio tornò in mente il suo caro compagno di studi, Placido, che si era laureato in veterinaria, ma del quale aveva persa ogni traccia a causa della guerra, ma dato che ne rammentava l’indirizzo, fu là che s’ informò.

 Seppe così che si era trasferito ad Albano dove svolgeva la sua professione.

 Il reduce vi si recò accompagnato dalla sorella, che per tutto il viaggio in treno si tenne in seno il cagnolino che aveva il fiato grosso per un male inspiegabile.

 Giunsero allo studio del dottor Placido mentre lui era in giro per le visite a domicilio dei suoi pazienti e fu la madre, signora Maria che li fece passare in sala d’attesa.

 La signora fu oltremodo cordiale con loro e dopo il primo stupore nel riconoscere i due giovani Sarducci, si fece in quattro per metterli a loro agio.

 Si scambiarono le notizie di quegli ultimi anni che aveva scompaginato e disperse le famiglie e si commosse nel constatare i cambiamenti fisici del reduce che ricordava di una bellezza fine e delicata quand’era bambino,

 Fu colpita anche dalla serietà della bruna fanciulla che se ne stava silenziosa col cagnolino fra le braccia, abitando in prossimità del Corso Umberto e servendosi spesso alla ditta Sarducci, era al corrente della triste infanzia di quei due ragazzi e della loro virtuosa madre che viveva reclusa.

 Tutti, nel Rione, avevano sempre guardato di malocchio il modo insano in cui l’altezzoso negoziante faceva vivere la famiglia.

 La gentile signora fu delicata però a non toccare nessun tasto spiacevole coi due visitatori, limitandosi a spiegare loro che, colpita anch’essa dalla guerra per avervi perduto l’amato sposo, aveva preferito trasferirsi in provincia nella sua vecchia casa paterna per coronare il sogno del figlio, avere uno studio di veterinaria con annesso ospedale per le bestiole che avessero bisogno del ricovero.

 Esortandoli a pazientare disse loro di stare tranquilli che il loro cane non doveva avere nulla di grave perché le orecchie erano rosse e ben tese.
La gradevole sorpresa del dottor Placido, di rivedere il suo amico fu offuscata dalle modifiche del suo sembiante e dopo le effusioni scambiate fra loro dopo tanti anni di lontananza, egli prestò la sua attenzione alla sorella che lui ricordava di averla vista qualche volta da piccola e non l’avrebbe certamente mai riconosciuta.

 Fido che pazientemente aveva atteso in silenzio i discorsi di tutti, cominciava a dar segni d’insofferenza e fu giusto quindi sottoporlo alla visita.

 Il medico capì subito qual’era il problema che impediva alla bestiola di nutrirsi, aveva semplicemente una faringite che le teneva infiammata gola e trachea e le causava anche la temperatura un po’ alta.

 Sarebbero bastati alcuni giorni di cure specifiche per rimetterlo in sesto e giacché c’era la possibilità di poterlo ricoverare nel canile appositamente attrezzato, la cosa migliore sarebbe stata quella di lasciarlo alle sue cure e venirlo a prelevare di li a qualche giorno. Questa fu la soluzione ideale che lasciò tutti soddisfatti.

 La madre del dottore che aveva già offerto ai simpatici ospiti, caffè e biscottini croccanti che erano la sua specialità, insisté molto per farli rimanere a cena, ma scusandosi di non poterlo accettare per questione di orario, dissero che si sarebbero fermati volentieri. In una prossima visita, intanto fra una settimana sarebbe tornato il capitano a riprendere Fido.

 I due fratelli rientrarono contenti da quella visita, fatta nelle ore in cui il loro genitore si trovava in negozio perciò non era stato necessario chiedere il suo permesso per quell’uscita straordinaria di Aurora che dopotutto aveva accompagnato il fratello per tenergli il cane visto che lui ne sarebbe stato impacciato dal bastone che doveva usare.

 La salute del cane al sor Massimo non interessava affatto perché doveva essere compito di chi l’aveva portato in casa così non era stato necessario neppur specificargli che il veterinario abitava fuori Roma.

 Alfio dopo essere andato a riprendere la sua bestiolina fedele, fu invitato calorosamente dalla signora Maria a far visita spesso al suo amico d’ infanzia che sempre oberato di lavoro, non aveva mai tempo per distrarsi un poco giacché…” I suoi soli amici sono i suoi…pazienti che non hanno neppure la parola!

 “ Per stare dietro alla loro salute, non pensa neanche a trovarsi una moglie…e sarebbe proprio ora, anche perché io non sarò eterna e non vorrei lasciarlo da solo!”

 Alfio rise a questo suo sfogo e, aderendo di buon grado alla sua richiesta, fu contentissimo di assecondarla tornando più volte a trovare il suo amico ritrovato.

 L’affettuosa amicizia che si ristabilì fra loro diede al reduce, la sensazione di essere fisicamente normale e non tanto sgradevole alla vista e questa cosa servì a rasserenarlo. Specialmente la madre del suo amico aveva avvertito istintivamente che le conversazioni fra lui e suo figlio avrebbero giovato a tutti e due perché erano simili come intelligenza ed entrambi ce l’avevano messa tutta per raggiungere la laurea.

 Lei se lo ricordava quel giovanetto biondo e mingherlino, così timido e discreto

soggiogato dai divieti paterni, che pur avendo una discreta possibilità economica, non aveva esitato a far lavorare assiduamente quel ragazzo per scrollarsene il peso.

 La sorte era stata veramente ingrata con lui ed ella pensava che fosse giusto e doveroso non fargli pesare le sue invalidità infondendogli un po’ di ottimismo e di calore umano e spronarlo a riprendere il filo della vita che poteva recargli le ricompense che meritava.

 

 

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