I tiranni - le vittime - i ribelli

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ROMANZOSTORICO
in tre parti

PRIMA PARTE
(6) 

 

 

Le esili spalle di Irene riuscivano più a sobbarcarsi. l’enorme mole di lavoro giornaliero e sempre più spesso l’assaliva lo sconforto, con più frequenza quando l’irrequietezza dei piccoli la faceva disperare e il dirimere le loro dispute puntigliose le mostravano alcune loro asprezze caratteriali che ella paventava dovessero diventare incorreggibili. Con suo sommo dispiacere ella vedeva il primogenito rassomigliare sempre più a Massimo e non sapeva cosa fare per evitarlo. Il disappunto non le veniva certo dalla somiglianza fisica che, anzi, era un piacevole aspetto, ma era l’uguaglianza dei difetti.

Andrea, i difetti del padre, li aveva ereditati tutti!

Con la sorella, il giovanetto, era sempre in conflitto e si dimostrava prepotente e arrogante nel suo ruolo di fratello maggiore anche se Aurora non si lasciava intimorire affatto perché sapeva sempre tener testa ad ogni suo sopruso e neppure i di lui “muscoli”, sempre in evidenza, la spaventavano dimostrando spesso che sapeva difendersi usando i propri. Finivano quasi sempre a darsele, con la grinta di due furetti inferociti e non sempre il maschio aveva la meglio che la bimba ben nascondeva la sua forza sotto un’apparenza angelica, prendendo di sorpresa la madre che la vedeva sfoderare i suoi artigli da gattina poiché, mordendo e graffiando il suo manesco fratello cercava di difendersi come meglio poteva.

Il carattere di quella ragazzina era portato alla giustizia e quando si accorgeva dei raggiri messi in atto da Andrea per accaparrarsi qualche agevolazione paterna o materna, difendeva i suoi diritti, colla sicurezza di essere dalla parte della ragione ed anche perché la prepotenza non riusciva a sopportarla.

Ammirando l’ovale perfetto del suo visino e l’agile personcina, nessuno avrebbe supposto che sotto tanta dolcezza si stesse sviluppando una personalità fiera e indomita che riusciva a indovinare anche i pensieri reconditi del primogenito che riteneva di farne una schiavetta. Se Andrea voleva far valere la loro differenza di età per sovrastarla ella prontamente lo bloccava con parole precise: “ Non sono i due anni in più che ti permettono di comandare su di me ed io, gli ordini, li prendo solo dai nostri genitori… ed anche tu sei ancora nell’età di obbedire.

I suoi occhi grandi, scuri e vellutati, come riuscivano a sprizzare la collera e mandare lampi di fierezza in quei momenti rabbiosi, sapevano altrettanto essere dolci e affettuosi col suo fratellino minore. Con Alfio, infatti, si comportava come una mammina sollecita e tenera, tenendo costantemente sotto controllo, le malefatte dell’altro affinché non gli recasse danno.

Per Irene, le dispute dei figli più grandi arrecavano tanta amarezza perché vedeva crescere la loro inimicizia come aumentavano le loro diversità caratteriali.

Nei riguardi di Alfio, di natura mite e calma, subentrava un altro timore…quello di divenire troppo sensibile e timoroso perché nel vedere litigare i fratelli, la sua prima reazione, era quella di piangere e di correre a nascondersi il più lontano possibile, quasi sempre sotto il grande letto dei genitori.

Assistere agli alterchi, compresi quelli dei genitori, causava a quella piccola anima, dolori insostenibili e il suo sembiante da angioletto biondo con gli occhi chiari sembrava solo creato per gioire di dolci visioni e di musiche delicate.

La musica, infatti, o le semplici nenie cantate da sua madre nell’addormentarlo lo mandavano in estasi e le imparava con molta facilità; questa era una delle poche cose che rendeva felice Irene che lei chiamava Mimmino col diminutivo di nonno Guglielmo a cui rassomigliava fisicamente e dal quale aveva ereditato appunto la passione musicale. Per i nonni sabini, Mimmino, era una piacevole presenza in quei brevi periodi che riuscivano a portarselo in campagna ed ogni tanto capitava col pretesto di alleggerire la figlia di un po’ di fatica.

Ascoltando il vecchio grammofono il piccino fu introdotto dal nonno alla conoscenza della musica e attraverso i libri illustrati che avevano fatto la felicità della madre alla sua stessa età, fu iniziato all’amore per la letteratura che avrebbe riempito poi tutta la sua vita. Quel fanciullino timido andava rivelando un’anima di artista e il signor Guglielmo cominciò ad accarezzare l’idea di indurlo a studiare seriamente uno strumento musicale, quello che il bambino stesso avrebbe scelto.

Era ancora troppo presto per decidere e poi, ci sarebbe voluto il benestare paterno.

Soltanto nella casa dei nonni Alfio si sentiva completamente a suo agio, lontano dalla brutalità del padre e del fratello che lo intimoriva, in quella pace campestre dimenticava le alte tonalità delle loro voci che lo facevano trasalire ogni volta che lanciavano rampogne a madre e sorella che unitamente ai nonni erano le persone che più amava e che, a loro volta, gli dimostravano amore.

La sofferenza che gli causavano le scenate immotivate del genitore, gli causavano malessere fisico al punto da rimettere il cibo e rifiutarlo in seguito e il suo piccolo cuore soffriva nello scoprire spesso il pianto negli occhi della sua bella mamma;

le si accostava strettamente come a proteggerla dalle brutte parole che le venivano dal marito nel mentre stringeva con forza i suoi piccoli pugni col gesto impotente di chi non può fare altro.

La dolente madre, comprendeva quanto male facesse l’indifferenza di Massimo ai loro tre figli, più degli però ne risentiva la piccola e sensibile anima del piccino che aveva preso a balbettare alla di lui presenza e che, dallo stesso, si era preso l’appellativo di deficiente. Non era per vera paura quel balbettio, ma per il timore che la forza bruta del genitore causasse del male fisico alle donne della loro famiglia e aveva imparato per tempo a non chiedere mai nulla a quel padre orco per non avere l’umiliazione del rifiuto. Massimo, furioso, nel vedere quel figlio così passivo e remissivo e che, taciturno com’era, non gli dava mai nessun motivo per redarguirlo, cominciò a trattarlo da femminuccia, ripetendo glielo spesso e volentieri, suscitando la derisione del figlio maggiore, il solo, che stava riuscendo, piano piano, a conquistarsi le sue simpatie.

Alfio, in tal modo, si richiudeva ancora di più in se stesso e l’unica sua consolazione era quella della comprensione della sua amata Aurora che era per lui come una fatina. Non che la mamma fosse da meno, ma lei, poveretta, così indaffarata non si poteva concedere che brevi attimi ai bambini per non suscitare la gelosia inquisitoria del capofamiglia che li considerava debolezze e tentativi di congiure contro la sua severità. Alfio e Aurora erano solidali e cercavano di tener nascoste alla madre le continue angherie del loro fratello per non addolorarla ulteriormente, ma fra di loro c’erano sfoghi di rabbia contro i “cattivi”, che li scaricavano e li portavano a progetti d’impossibili evasioni e infine alle risate d’ingenua complicità che li riconciliavano con la vita. Il più piccolo capiva che l’atteggiamento diverso della sorella verso Andrea, era l’unica sua arma di difesa contro la sua sopraffazione, ma anche se l’ammirava per il suo coraggio, non si sentiva d’imitarla perché non avrebbe mai saputo fare il cattivo e il battagliero per forza.

Crescendo il ragazzo s’immerse nel mondo fittizio dei racconti di avventure che gli riforniva il nonno ed era un valido rifugio che lo sottraeva al clima oppressivo della famiglia e che appagavano in pieno il suo animo sognatore che non le impedirono però di dargli una base d’insicurezza che non le permise d’inserirsi completamente nel mondo circostante. L’ambiente inadatto non era stato il più idoneo per un tipo così sensibile, costretto a forzare la sua natura nel silenzio e nell’introspezione e che non aveva mai avuto la possibilità di misurare il suo giudizio con altri coetanei e quelle poche volte che aveva osato entrare in qualche argomento era stato ridicolizzato immediatamente dagli altri due uomini che in famiglia dettavano le loro ragioni.

Il dialogo che, nella prima infanzia specialmente, ha una funzione positiva per la instaurazione di concetti e principi morali, si fonda sovente su degli esempi validi, ma proprio questi ai ragazzi Sarducci erano mancati e per il carattere del più piccolo dal sentimento delicato e fragile, ne sarebbe rimasto un solco profondo, una vera spaccatura che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a colmare completamente.

La onnipresente e scostante figura paterna era stata sempre un incubo per lui, riuscendo a dominare ogni sua azione con forza pari a quella di un macigno e schiacciando ogni sua parola ed ogni sua iniziativa.

Per avere iniziative ci vuole coraggio !

Coraggio di saper affrontare anche le eventuali sconfitte, ma con un padre giudice spietato e sempre avversario egli non si sentiva di rasentare sconfitte.

Alfio, docile e mai ribelle, come sua madre si era lasciato prevaricare, soffrendo in silenzio. 

Di una cosa era contento però….. di non rassomigliare né al padre né al fratello perché tiranno, come loro non lo sarebbe mai divenuto.
Suo fratello, d’altra parte, non faceva ragionamenti molto profondi, accontentandosi di appagare giorno per giorno le sue personali necessità, infischiandosi di quelle altrui, sia pure quelle dei suoi più stretti consanguinei.

Per questo viveva contento. Sentiva congeniale il ruolo di tiranno.

Con la sorella non era stato fortunato, avendo trovato in lei un caratterino deciso, molto diverso da quello che si aspettava.

Marinava sistematicamente la scuola col pretesto di essere più utile a casa e a bottega e in effetti, suo padre che se lo ritrovava sempre fra i piedi, cominciò a servirsene per le consegne a domicilio presso le sartorie e pure non disposto ad accordargli molta confidenza, apprezzava la sua disponibilità nei riguardi del lavoro anziché verso la…sapienza: preciso a se stesso.

L’astuto bricconcello aveva capito come mettersi in risalto agli occhi paterni e, accorgendosi che egli dava molta importanza ai muscoli e particolarmente alla capacità di mettere nel sacco il prossimo, prese a raccontargli le sue prodezze scolastiche, che infarciva di aneddoti inventati, per suscitare la di lui approvazione e spesso anche la sua ilarità, cosa questa alquanto imprevista per un tipo scontroso come era sempre stato.

Per Andrea questa scoperta era stata una grande vittoria ed anche se parlando col padre doveva usare la terza persona come egli aveva preteso dai figli, sentiva di essere entrato nelle sue grazie.

Su questo fantasticava ed era certo che gliene sarebbero venuti molti vantaggi in futuro. La madre che confusamente intuiva le mire del ragazzo non si sentiva di approvarlo vedendo come stesse trascurando la scuola ed dispiaciuta soprattutto che avesse il beneplacito paterno. Per quanto la riguardava, Irene, non aveva accettata l’imposizione del marito di parlargli con il voi, ritenendola un’abitudine residua dei tempi feudali, quando mogli e figli erano trattati alla stregua degli altri dipendenti dei fondi rurali, senza agevolazioni né trattamenti speciali.

A Roma si manteneva questa usanza ed anche Massimo vi era stato abituato, pertanto egli lo aveva preteso dai ragazzi, ma con la moglie non l’aveva spuntata perché lei asseriva di voler essere amica dei figli e non si poteva formulare una frase tenera e dolce se non… a tu per tu… mentre quel voi rappresentava un vero distacco.

Avrebbe ostacolata sempre una vera confidenza!

L’indisciplina di Andrea lo condusse ad essere espulso dalla scuola come elemento indesiderato,  per la madre e i nonni questo fatto increscioso fu motivo di vergogna e di profondo accoramento mentre che il padre lo commentò con una sua sentenza favorevole: “ Meglio un figlio somaro, ma lavoratore!”

Naturalmente, liberatosi definitivamente dall’obbligo scolastico, il ragazzo si trovò disponibile in ogni ora della giornata e suo padre non trovò di meglio che l’affidargli il compito della spesa quotidiana. Nessuno era mai riuscito ad imbrogliare il Sor Massimo, eppure quella birba riusciva a far restare nelle sue tasche qualche centesimo con piccole…modifiche nei conti che suo padre controllava scrupolosamente; la stessa cosa accadeva circa le mance che i sarti lasciavano alla consegna dei pacchi di stoffa presso i loro laboratori.

Finalmente Andrea poteva appagare la sua golosità nei riguardi dolci delizie.

Il castagnaccio, le pere cotte, i lupini, le olive verdi in salamoia che era possibile acquistare dagli ambulanti e che riusciva a far sparire lungo la strada.

Però c’erano bruscolini, caramelle, cannelli di liquirizia e zucchero filato che lasciavano tracce nelle tasche e mamma Irene era troppo vigile per non accorgersi delle marachelle di suo figlio. Ella compativa pertanto il ragazzo che sapeva come addolcire la sua giornata con quelle cosucce modeste che non più di una alla volta riusciva a comperarsi con le modestissime…creste sul rendiconto al padre.

Lei stessa, se le fosse stato concesso di uscire ogni mattina come le altre casalinghe, avrebbe avuto piacere di portare quelle sciocchezzuole a tutti e tre i bambini

per vederseli correre incontro grati e felici per quelle sorprese.

C’era però la spina nel cuore che le metteva Massimo ogni volta che dispensava lodi sperticate a quel birichino,così sveglio e così servizievole“, portandolo d’esempio in famiglia; alla madre non sfuggiva la luce di soddisfatta presunzione che accendeva gli occhi del lodato fratello. D’altra parte bisognava riconoscere che da quando la spesa la faceva il ragazzo era da lei che prendeva la nota delle cose da acquistare e quindi in casa c’era un po’ più di benessere perché i menù era più soddisfacenti e variati e lei si faceva un dovere di riguardare le festività preparando qualche dolcetto. 
Aurora ed Alfio non disdegnavano di aiutare la madre in certi determinati lavori, così era infatti nei due gironi del bucato settimanale che bisognava trasportare la grossa cesta coi panni da lavare fino nella cantina / fontana ove si trovavano le grandi vasche e la tinozza per metterli in ammollo qualche ora e, dopo la lavatura, riporveli ancora a lungo nel bagno di soda caustica e cenere che disinfettava e ridava il candore a tovaglie e lenzuola.

I due ragazzetti lavavano, sbattevano e torcevano i panni con tale energia e allegria come fosse un giuoco di forza e quando alla fine, riportavano il tutto su per le sale fino agli stenditoi sul tetto per sciorinarli al sole, non si sentivano stanchi, ma felici e contenti per quella parentesi di libertà, specialmente nella stagione calda allorché si rincorrevano e si spruzzavano d’acqua l ‘un l’altra… le tante risate li ripagavano del chiuso di tutti gli altri giorni.

Il loro palazzo era di una sola scala e quindi le giornate per l’uso delle fontane e degli stenditoi erano ben distribuite e ciascuna famiglia li usava come dovuto, ma nei grandi palazzi popolari, composti di moltissimi appartamenti, i litigi si succedevano di giorno in giorno e “le fontane” erano veramente scuole di vita come le strade.

Sorgeva sempre fra le lavandaie qualche pretesto per sfogare invidie, gelosie, antipatie e rivalità d’ogni genere, per lo più amorose e, a seconda, dell’esuberanza delle contendenti potevano divenire anche questioni drammatiche con pericolo di vita.

Gruppi di curiosi abituali si soffermavano in prossimità delle feritoie stradali che davano luce appunto alle fontane sotto livello, per non perdersi quelle sceneggiate senza copione, spesso contornate da canti significatici e stornelli dispettosi a braccio.

Stirando e riponendo la biancheria di corredo di sua madre, Aurora non poteva fare a meno di ammirarne l’esecuzione dei ricami, compiuti dalla stessa.

Ammirava più d’ogni altra cosa il suo bel monogramma che spiccava su ogni capo, le iniziali I ed S intrecciate come in un abbraccio erano gioiose e messe in risalto dal filo da ricamo lucido; la S formata da foglioline racchiudeva la barretta della I formata da minuscole rose.

Guardando i ricami del corredo, Aurora pensava alle lunghe ore che sua madre aveva sottratto al giusto riposo. L’esecutrice, accanto a lei, vi ritrovava quei sogni che aveva accarezzato durante il lavoro e che si erano infranti uno a uno, compresa la speranza che l’aveva sorretta, di veder migliorare la sua esistenza difficile e snervante. Tanti lavori che si era imposti erano stati portati a termine, ma il Dizionario che per forza di cose, era costretta ogni tanto ad accantonare, avrebbe mai visto la parola fine?   Nel suo cuore c’era rimasta ancora quell’unica speranza. 

Entrato nelle buone grazie del padre, Andrea, prese ad armeggiare da buon calcolatore, per prepararsi un futuro adeguato alle sue pretese giocando sull’indifferenza dei fratelli riguardo alla loro azienda paterna, da essi considerata una rivale, circa l’affetto paterno, egli in quanto maggiore vi si insediò con alterigia.

Ricalcando le orme paterne, agiva in qualsiasi circostanza con dispotismo e superiorità verso tutti e dando per scontato che l’unico successore capace di far funzionare la Ditta dovesse essere lui.

Con sarcasmi velati e continue punzecchiature all’indirizzo di Alfio, fece si che il padre ritenesse il figlio minore un quasi ritardato mentale, incapace di svolgere un lavoro impegnativo. Aurora poi, essendo donna, che cosa avrebbe potuto fare…se non rimanere in casa ad aiutare la madre?

Raggiunta l’adolescenza i giovani Sarducci stavano evidenziando le loro personalità, molto diverse e degne di attenzione.

Purtroppo le inclinazioni di cui ogni essere umano è dotato dalla nascita, si sviluppano naturalmente, secondo schemi predisposti dai geni trasmessi dagli ascendenti di ogni stirpe e dei quali virtù e difetti, qualità e tendenze, non si perde mai traccia anche se, in alcune generazioni, sembrano scomparire per riapparire in generazioni alterne.

Cosicché, ogni essere è portato ad agire non per sue libere scelte, ma perché condizionato da questa eredità genetica che sussiste a prescindere dal suo grado sociale. Ciò che è stampato nel suo DNA non potrà essere mai cancellato.

Esistono, per questo motivo, delle incomprensibili dissonanze o attrazioni fra persone dello stesso nucleo familiare che lasciano perplessi e non possono essere modificate.

Queste dissonanze si andavano riscontrando nei tre fratelli.

Andrea seguiva il tracciato dell’indole paterna, Aurora si stava assumendo il ruolo della madre nel prendersi cura del guardaroba dei fratelli e per Andrea che lo pretendeva, non lo faceva molto volentieri.

Alfio, ancora nell’età scolastica, era attratto dalla lettura di libri di ogni genere ed era sempre intento a scrivere o a disegnare, rivelando il suo temperamento artistico, simile a quello del nonno materno che lo aveva iniziato all’ascolto della musica classica. Il loro padre, scontento per natura, sembrava non accorgersi di quanto faticasse la figlia femmina per esaudire le richieste del fratello grande e, vedendola armeggiare continuamente col pesante ferro da stiro a carbone la copriva di rimproveri,accusandola di sprecare tempo e carbone più del dovuto.

Aurora che da tempo aveva capito quanto fosse cinico ed egoista quel fratello, cercava di accontentarlo al più presto con la speranza che se ne uscisse di casa, così per parecchie ore si sarebbe liberata della sua assillante presenza.

L’incomprensione fra loro era aumentata, specialmente da quando la ragazza aveva detto a chiare note che non doveva comandare su di lei perché ancora lui stesso doveva obbedienza ai genitori. Nella sua mente si erano fissati dei ricordi penosi dovuti a certe azioni malvagie da lui compiute nei confronti del gattino del portiere che sia lei che Alfio amavano, ricambiati giacché era solito aspettarli sulla soglia del portone ogni volta che uscivano mentre scappava velocemente appena vedeva Andrea perché non sapeva come salvarsi dalle sue sevizie.

Una specialmente fu atroce e, al solo rammentarla, Aurora se ne sentiva ancora turbata perché la povera bestia rasentò di morire strangolato dalla grossa corda in cui lo aveva intrappolato il sadico fratello, facendolo dondolare a lungo, incurante dei suoi miagolii penosi e laceranti ed anche inutili furono le sue suppliche affinché lo lasciasse in pace. Con queste ed altre spavalderie, Andrea si divertiva, facendosi grande agli occhi degli altri ragazzini del circondario che s’impaurivano per le sue gesta che altresì facevano cadere sempre più la sua stima presso i suoi fratelli.

Aurora rimaneva anche ferita quando egli metteva alla berlina il fratello minore e quindi questi suoi comportamenti alla lunga fecero scemare anche il suo affetto.

La giovanetta non dimenticava facilmente e i suoi pensieri, nascosti dalla dolcezza del suo sguardo profondo, erano fermi e decisi come la sua bellezza, propria delle donne romane, s’imponeva al primo sguardo con la bella capigliatura nera raccolta in due lunghe trecce e la carnagione ambrata, un po’ troppo pallida per il suo vivere troppo chiusa. Dal bozzolo di una comune bambina, stava sorgendo una fanciulla piena di attrattive. Da anni non le era stato più concesso dal padre di recarsi in vacanza dai nonni, col pretesto di dover servire in casa,- “Le brave donne- soleva dire- non debbono pensare alle vacanze con tutto il daffare che hanno!”

Dall’età di dodici anni quindi la bambina non era più stata a Farfa.

E non aveva più provata la gioia di partire col nonno- “ Per fare una improvvisata alla nonna – diceva lui, invece era solo un pretesto per farla vivere per dei brevi periodi spensieratamente all’aria aperta.

Quanto era felice, la bimba di trotterellare dietro la nonna ed era in perpetuo movimento giacché voleva vedere tutto e tutto imparare.

L’ aiutava ad innaffiare i fiori, a raccogliere le uova ancora calde nel pollaio dove entrava con irruenza facendo scoccodellare tutte le galline spaventate dalla sua intrusione.

La sua vivace presenza ringiovaniva tutta la casa ed anche i nonni ritrovavano in lei la figlia adorata che così presto si era accasata.

Nella grande cucina, la piccina, diventava assillante perché voleva cucinare lei stessa e le sue piccole mani ripetevano esattamente i gesti della sua ava.

Pretendeva di saper fare tutto e la nonna rideva felice delle sue prodezze,

Era veramente uno spasso guardare la frugolina arrampicata su di una sedia che col suo ingombrante grembiule candido faceva la sfoglia schizzando farina da tutte le parti e quando s’ingegnava di disporre, sui ruvidi canovacci, le file precise dei mezzi pomodori maturi da far essiccare al sole spruzzati di sale così pure i fichi dotati di mandorle che poi, infilati a collane, duravano per mesi.

Voleva sapere del lievito per fare pane e focacce, del miele che il nonno cavava dagli alveari, e tutto quanto concerneva polli, conigli e piccioni.

Una vera massaia insomma! Eppure c’era stato qualcosa che l’aveva fatta vergognare….

Accadde a Roma, dopo uno dei suoi entusiasti ritorni, proprio quando volle dimostrare la sua bravura di …pasticcera, fidando sulla sua memoria di bimba settenne. Si provò a fare i famosi mostaccioli sabini come aveva visto fare a nonna Renata, disdegnando perentoriamente l’aiuto della madre, che la lasciò fare.

Ricordò perfettamente la ricetta al miele e tutto andò bene fino al momento della cottura che forse durò un po’ troppo o forse per la temperatura del forno troppo alta, restituì dei tozzetti duri e neri da divenire immangiabili.

Inutile dire i pianti della bambina e la sua mortificazione fu ancora più acuta a causa della beffarda canzonatura del solito fratello Andrea che da quel giorno la chiamò. “

La pasticcera pasticciona”. Quando, dopo anni, ella lo raccontava ad Alfio che a quel tempo era appena nato, diventava motivo di allegria anche se per lei era stato a lungo un ricordo bruciante. Ma della Sabina, molti ricordi teneri restavano nel cuore dei due fratelli, le uniche parentesi felici della loro triste infanzia, in qualunque momento vi andassero col pensiero, ne rivivevano le sensazioni e persino gli odori…

Quello del bosco bagnato di rugiada, quello del pane appena tolto dal forno con quei filoni lunghi e dorati che rimaneva fresco anche per dieci giorni e quello dei ciambelloni gonfi, perché ben lievitati, ricoperti di confettini variopinti.

Cose viste, assaporate, godute cose loro, indimenticabili!

La famiglia di un sarto venne ad abitare nel palazzo di fronte, un piano sotto quello dei Sarducci. Anche lì c’erano due ragazzi, dell’età di Alfio e Aurora.

Il più grande adocchiò subito la bella brunetta sua dirimpettaia. Furono sguardi furtivi a volte un po’ prolungati che per la giovanissima fanciulla diedero inizio a pensieri nuovi, mai provati, perché non era ancora assurta al ruolo di ragazza da corteggiare.

Il ragazzo, anch’egli timido e riservato, si limitava a guardarla attraverso i vetri della sua finestra, ma suo malgrado si mise in evidenza perché doveva necessariamente alzare la testa per guardare al piano di sopra. Guardava ogni volta che Aurora si approssimava e spariva non appena vedeva qualche altro di famiglia.

La farfalla che stava nascendo dalla crisalide della pubertà, si accorse con molta emozione di essere l’oggetto di tanta curiosità e il suo ingenuo cuore prese a palpitare più rapidamente, preso dalla prima, innocente favola d’amore.

Sguardi ansiosi, rossori improvvisi, tuffi al cuore, incertezze e nodi alla gola, sintomo caratteristici che da sempre accompagnano i primi palpiti di un’acerba fanciulla che impara così a conoscere il sentimento sconosciuto che involontariamente si impossessa del suo essere. Anche da parte sua iniziò la stessa schermaglia : guardare e non guardare, sostare e ritirarsi precipitosamente e come l’altro le lunghe attese pazienti del momento favorevole per parlarsi con gli occhi attraverso la strada,

La luce nuova che irradiava il viso bruno di Aurora rivelava il suo interesse per quel gradevole assedio di cui era fatta oggetto, ma che non si sapeva come si sarebbe concretizzato. Restava sicuro lo sguardo incantato rivolto alla sua finestra chiusa che, non appena aperta, modificava di colpo le azioni del giovanissimo corteggiatore.

Spiava se lei fosse pronta per andare a far compere, da quando il fratello coadiuvava il padre a negozio, d’un subito si precipitava al portone per fingere d’incontrarla per caso mentre lei, sostenuta, ma col cuore in tumulto, fingeva di non accorgersi delle sue manovre.

Nessuno dei due accennava ad un saluto, certo era che lo sguardo serio e dignitoso di lei incuteva rispetto e non dava la possibilità per un qualsiasi approccio, non era sicuramente una di quelle svelte a dare confidenza.

Eppure qualche volta gli era parso che dalla finestra lo avesse guardato con simpatia!

Come quella volta che insegnando il giuoco dell’oca sul davanzale della finestra aperta, un colpo improvviso di vento fece volare via cartone e pedine per cui il piccolo comincio a tempestare di pugni il fratello più grande che se ne vergognò maledettamente di fronte ad Aurora e Alfio che, stando affacciati, avevano seguito la scena e che scoppiarono in una risata.

Altre volte al giovane era sembrato che lei sorridesse da lontano, ma se l’incontrava restava impassibile.

Che quella fosse una tattica tutta femminile egli ancora non lo sapeva!

Ma pure lui ne mise a punto una di sua invenzione.

In uno dei grossi rocchetti vuoti di filo, presi dal banco di lavoro di suo padre,

infilò ben pigiato un minuscolo rotolino di carta con un messaggio d’amore figurato, sperando che la sua bella capisse la sua strategia.

Attese che lei passasse sotto la finestra e sveltamente srotolò lo spago a cui era legato il rocchetto che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto dondolare dinanzi agli occhi della fanciulla che lo doveva prendere,

Nella foga del lancio invece il rocchetto colpì lievemente Aurora che lo prese come uno scherzo di cattivo gusto, perciò lo strappò via con rabbia gettandolo lontano senza neppure osservarlo. Guardandosi indietro subito dopo, si accorse che il tizio lo stava recuperando, questo la portò a pensare che se era corso immediatamente a riprendersi quel “coso” da buttare, doveva esserci un altro motivo poiché non lo riteneva tanto cretino da farle un dispetto dopo tutti quegli sguardi sdolcinati.

L’ indomani quel “ giuoco cretino” si ripeté, ma la ragazza, più guardinga stavolta, fu svelta a ghermire quel rocchetto che non oppose resistenza e si lasciò prendere con tutto lo spago a cui era legato. Si avvide subito che il foro era otturato da qualcosa di bianco e capì la messinscena, ma non era lì, in mezzo alla strada che poteva togliersi appieno la curiosità, fece le sue spese molto velocemente e infilò la rampa delle scale con la rapidità del fulmine salendo gli scalini due a due e difilata, non appena in casa, raggiunse il gabinetto, come per cosa…urgente e, finalmente ebbe fra le sue mani tremanti il suo primo messaggio d’amore. Nel dispiegare la strisciolina arrotolata, le si annebbiò un poco la vista e come dietro un velo decifrò il disegno che vi era tracciato coi pastelli: due cuori rosso fuoco, sovrapposti ed una freccia nera che li trafiggeva entrambi e con scrittura minuscola due nomi; Aurora e Romeo.

Finalmente conosceva il nome del suo lui.

Ricevere la dichiarazione amorosa in quello strano modo, fu per la candida ragazza, una cosa inebriante che la fece sentire importante e …desiderata.

Diventava donna!

Era già a primavera e i prati s’infioravano di margherite e i cuori innamorati si scaldavano ancor di più e trovavano vari modi per comunicare fra di loro.

Anche l’appassionato Romeo volle esprimersi a suo modo e in una notte tepida e senza luna testimoniò pubblicamente il suo sincero sentimento sotto la finestra di colei che amava tanto.

Allorché ogni luce casalinga fu spenta per il riposo notturno, Via dei Schiavoni, fu invasa da una languida serenata.

Alla melodia del mandolino si accompagnò una voce maschile bene intonata, al principio tremula e incerta, ma sempre più forte e sicura che con le parole delle canzoni scelte aprì il cuore alla fanciulla amata.

Le parole delle serenate sanno essere struggenti e appassionate quando non sono fatte a dispetto ed è un modo romantico per sensibilizzare le farfalle amate circa i sentimenti da esse suscitati nei mosconi ronzanti attorno ad esse.

A Roma era consueto ascoltarle ed erano fatte di romanze e di stornelli, indirizzati sempre a …finestre chiuse, le cui tendine venivano a un certo punto smosse dalle tremanti mani femminili che volevano accertarsi dell’identità del cantore.

I segreti di molti cuori si rivelavano a tutti in tal modo e, amori, tradimenti, e dispetti facevano seguito a queste parentesi armoniose; potevano accadere anche scene d drammatiche con sfide a duelli rusticani che ponevano fine a storie di amore e di gelosia con la sparizione di focosi spasimanti, chi trafitto da pugnale, chi rinchiuso al Regina Coeli, il carcere alle pendici del Gianicolo.

Aurora invece, che si era appena coricata, nell’ascoltare i primi accordi di quella mandolinata,, non pensando affatto che fosse dedicata proprio a lei, si levò dal letto per curiosare attraverso le persiane serrate e quale fu la sua emozione nel constatare che si trattava proprio del suo Romeo che col canto le diceva quello che ancora non aveva avuto modo di esternarle a viva voce.

Le parole erano quelle di canzoni note, ma in quella notte, lei, le fece sue.

L’idillio tenero e puro avrebbe potuto, come tanti, trasformarsi in sereno fidanzamento, ma il fato, nella persona di Massimo Sarducci, dispose altrimenti.

L’adolescente gentile e semplice, stava vivendo la sua ingenua storia, scaturita da una piccola scintilla che aveva scavato in profondità dopo il piccolo messaggio ricevuto, ella fantasticava e si vedeva già, mano nella mano, col suo amore in riva a un lago fra profumi di fiori e voli di uccelli canterini; la stessa indomita fantasia le dava l’euforia giusta per dimenticare la sua condizione familiare che doveva sottostare al beneplacito paterno.

Stava dimenticando troppo frequentemente questo ostacolo e quando ritornava alla realtà le sembrava di precipitare in un abisso, le appariva allora estremamente difficile poter realizzare qualcosa di tangibile nei riguardi di un fidanzamento e di un futuro matrimonio.

Perché mai suo padre doveva incutere terrore e non tenerezza?

Pensava al suo amore giorno e notte e s’incantava sorridendo nel bel mezzo del pranzo o di qualche faccenda.

 

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